Testamento biologico: una legge punitiva

Preceduta da una campagna fatta di insinuazioni e affermazioni volgari e terrificanti contro Beppino Englaro, “colpevole” di lottare perché la figlia Eluana fosse finalmente libera, non più prigioniera di un corpo che non riconosceva, e che la sua volontà fosse rispettata, si sta approvando una legge punitiva e sciagurata. Una legge che non tiene conto della volontà del paziente ed espropria il diritto costituzionalmente garantito, di non essere sottoposti ad accanimento terapeutico se non lo vogliamo. Ancora una volta la differenza è tra chi vuole assicurare diritti e facoltà; e chi vuole imporre obblighi e doveri.

 

Confortata dagli univoci risultati di tutti i sondaggi demoscopici, credo che si debba rilanciare la sfida all’offensiva oscurantista e medievale, e fare tesoro del patrimonio e dell’insegnamento che ci hanno lasciato Luca Coscioni e Piergiorgio Welby. Dunque la lotta deve continuare, e anzi, va moltiplicato l’impegno perché la legge sul testamento biologico e il fine vita voluta dall’attuale maggioranza sia sostituita da una normativa che rispetti e garantisca la volontà del malato e del cittadino. E chiedo che si disponga un’indagine parlamentare sul fenomeno dell’eutanasia “sommersa” e di massa: fenomeno di cui tutti sanno, e che si vuole ignorare.

 

Chi ha un minimo di pratica e conoscenza del mondo medico, sa quanto ci si interroghi sulla legittimità e la moralità di alcuni interventi di accanimento terapeutico, quando senza speranza di guarigione, si dilatano a dismisura, e magari a prezzo di atroci sofferenze, i tempi delle agonie. Un grande filosofo, Hans G. Gadamer sostiene che “si ha questo diritto perché si è uomini liberi, e perché lo scopo della terapia medica presuppone la persona: presuppone quindi che si abbia a che fare con un uomo il cui volere deve esser rispettato. In questo senso non mi sembra affatto difficile rispondere alla domanda. Nella prassi diviene però molto più difficile poiché il morire, l’agonia stessa, è un lento paralizzarsi della libera possibilità di decidere in cui l’uomo vive come uomo consapevole e sano”.

 

Mi piace ricordare le parole con cui il sinodo della Chiesa evangelica, nel 1998, chiuse i suoi lavori: “Il medico che si rende disponibile all’eutanasia non commette un crimine, non viola alcuna legge divina, compie un gesto umano, di profondo rispetto, a difesa di quella vita che ha un nome e una storia di relazioni”. Mi sembrano parole di grande misericordia e comprensione. Quella misericordia e quella comprensione che tante, troppe volte, si è smarrita.

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