Seduta 369ª (XVI legislatura)

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 10,15).

(Informazioni in merito agli studi in corso per verificare l’efficacia di una nuova terapia per la sclerosi multipla – n. 2-00817)

PRESIDENTE. L’onorevole Farina Coscioni ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00817, concernente informazioni in merito agli studi in corso per verificare l’efficacia di una nuova terapia per la sclerosi multipla (vedi l’allegato A – Interpellanze urgenti).

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Signor Presidente, signor Ministro, colleghe e colleghi, per illustrare l’interpellanza che reca la mia firma e di tanti altri colleghi sia del mio partito sia della maggioranza ricorderò le parole della vedova di Luciano Pavarotti, Nicoletta Mantovani, malata di sclerosi multipla da 16 anni, che dice in maniera molto appassionata: «Date il via libera alle operazioni alle arterie dei malati di sclerosi multipla». Questo appello si rivolge alle istituzioni affinché intervengano rapidamente per garantire a tutti i malati la possibilità di essere operati.
È ben presente nella mia mente che all’estero, a fronte di pagamenti di cifre astronomiche, questi interventi vengono comunque fatti e vi sono numerosi malati che ricorrono a «viaggi della speranza». Quindi è una situazione davvero assurda, un giocare sulla pelle del malato. È un accorato appello che nasce dopo che dall’università di Buffalo, negli Stati Uniti, arriva il sostegno alle tesi del professor Paolo Zamboni, un chirurgo vascolare dell’università di Ferrara, secondo cui vi è un legame stretto tra questa malattia e l’otturazione delle arterie. Secondo il professor Zamboni, una volta liberate le vene scompaiono anche i sintomi della patologia neurodegenerativa. Sono consapevole che ci muoviamo su un terreno dove cautela e prudenza si impongono. Abbiamo innanzitutto il dovere di non alimentare false aspettative e facili speranze. Siamo all’inizio di un percorso che ci si augura possa essere positivo ed è nostro dovere fare tutto quello che è in nostro potere perché proceda spedito e il più rapido possibile.
Molti neurologi invitano alla cautela e sostengono che sono necessarie ulteriori conferme. Tuttavia, signor Presidente, colleghe e colleghi, signor Ministro, nel 2006, il professor Zamboni ha ipotizzato per la prima volta che i depositi di ferro che si creano in casi di insufficienza venosa possano avere un ruolo nella sclerosi multipla. È, peraltro, noto che la cattiva circolazione venosa può portare ad accumuli di un elemento tossico e capace di indurre infiammazioni, qual è appunto il ferro. Dalle osservazioni e le indagini sui diversi pazienti, il professor Zamboni ha constatato che, in molti casi, questo fenomeno avviene anche a livello della circolazione venosa cerebrale.
Non voglio qui addentrarmi in discorsi specialistici che non mi competono. Ricordo, tuttavia che, nel 2008, il professor Zamboni, con la collaborazione del professor Fabrizio Salvi, neurologo di Bologna, ha dimostrato la presenza di restringimenti venosi nelle vene extracraniche di un gruppo di malati testati con ecodoppler e, quindi, trattati con angioplastica non invasiva (il cosiddetto palloncino per allargare queste stenosi).
I risultati di questi «trattamenti di liberazione» – così li definì – risultarono eccellenti. Nella maggior parte dei pazienti, la malattia si era fermata o era regredita, e questo anche nelle forme progressive fino ad allora non trattabili. La nuova patologia viene chiamata «insufficienza venosa celebro-spinale cronica».
Nel 2009, quando la televisione canadese presentò la «cura Zamboni» come la cura per la sclerosi multipla, questa scoperta non rimase più confinata nei ristretti ed esclusivi ambiti dei ricercatori, ma arrivò al grande pubblico. Come ho detto, occorre prudenza e cautela: un invito che giunge da molti neurologi, che saggiamente chiedono ulteriori conferme. Le sperimentazioni fatte nel mondo su alcune centinaia di pazienti, anche se non hanno tutte confermato l’assunto del professor Zamboni, certamente, da sole non bastano.
È nell’ultimo numero della rivista Nature Reviews Neurology la spiegazione rivoluzionaria della causa della sclerosi multipla fornita da Zamboni ed altri: essa ha sfidato i dogmi esistenti e ha sottinteso che un intervento relativamente semplice – leggo testualmente – cioè, la procedura di liberazione, Pag. 12potrebbe risolvere il problema. Diffuso tramite Internet e i documentari televisivi, il professor Zamboni è diventato persona nota nel campo della sclerosi multipla.
Dopo poco tempo, tuttavia, una donna di 51 anni affetta da sclerosi multipla, che si era sottoposta presso lo Stanford University Medical Center in California ad impianti di stent nella vena giugulare, è morta a causa di un’emorragia del tronco encefalico, legata probabilmente ad un processo di anticoagulazione verificatosi durante l’intervento. Un secondo paziente ha dovuto subire un intervento cardiaco per rimuovere lo stent che dalla vena giugulare si era spostato fino al cuore. Alla luce di ciò, il programma a Stanford è stato interrotto.
Quindi, da una parte, vi sono numerosi malati che da tutto il mondo si rivolgono direttamente al professor Zamboni per ottenere il trattamento di liberazione. Alcune sperimentazioni, come dicevo poc’anzi, in alcuni casi sono state interrotte, in altri, invece, continuano. Nel frattempo, in molti Paesi – ne cito alcuni: la Polonia, la Bulgaria, l’Irlanda, l’India, la Giordania – sono sorte cliniche che propongono la cura del professor Zamboni per cifre che variano dai 400 alle migliaia di euro. Si tratta di procedure talvolta discutibili dal punto di vista dell’efficacia e della sicurezza. Tutto ciò comporta evidenti rischi per i pazienti italiani che si rivolgono alle cliniche di questi Paesi di non essere sufficientemente garantiti sul piano delle opportunità e della sicurezza degli interventi sanitari proposti.
Se nel febbraio del 2010, la regione Emilia Romagna ha annunciato l’inizio imminente di una seconda fase di sperimentazione in tutta Italia, anche il consiglio regionale del Lazio ha approvato all’unanimità una mozione che impegna la giunta ad elaborare un protocollo per la sperimentazione del trattamento di angioplastica dilatativa per i malati di sclerosi multipla affetti da insufficienza venosa celebro-spinale cronica.
Contestualmente, sono nate numerose associazioni e gruppi di malati, che chiedono che questa cura sia garantita a tutti e subito. Speranze ed aspettative che hanno innescato un fenomeno già visto in passato, come, per esempio, è accaduto con la terapia antitumori Di Bella. In quel caso, una terapia, Pag. 13che si è rivelata assolutamente inefficace, ha suscitato aspettative ed è stata alimentata anche da politici spregiudicati, senza che venisse adeguatamente testata.
D’altra parte occorre pure scongiurare che un trattamento di per sé non molto costoso e che non comporta apparentemente effetti collaterali degni di nota ed invasivi sia ritardato per anni, mentre tante persone continuano a diventare gravemente invalide o addirittura muoiono. Sotto questa luce comprendo l’angoscia di tanti malati e l’appello del professor Zamboni che chiede il trattamento in via compassionevole per quei malati rapidamente ingravescenti che non hanno tempo per aspettare.
La nostra interpellanza si muove, insomma, sul solco di una tradizione che mi caratterizza, quello dell’associazione Luca Coscioni di cui sono co-presidente, quello della libertà di ricerca, quello della libertà di conoscenza da effettuare laicamente con spirito critico e mente aperta. Si tratta di sapere quanti siano e dove si svolgano i cosiddetti trial clinici già in corso e la loro efficacia terapeutica e quale ne sia l’onere finanziario. Ritengo in definitiva che sia utile, opportuno e necessario assicurare il massimo sostegno possibile alla conoscenza di queste ricerche e di queste sperimentazioni. Quindi dal Ministro della salute, oggi è qui presente il sottosegretario Martini, che ringrazio, ci attendiamo finalmente una risposta chiara e definitiva.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Francesca Martini, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCA MARTINI, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con riferimento alla questione posta riguardo ai trial clinici in corso volti a verificare la presenza di insufficienza venosa cerebro-spinale cronica nei pazienti affetti da sclerosi multipla, mi preme precisare quanto segue: presso l’università di Ferrara sul presupposto di una valutazione che la patologia in esame non sia di origine autoimmune ma causata da difficoltà di deflusso venoso, sono stati effettuati, come fase iniziale, vari interventi di trattamento di angioplastica dilatativa rivolti ai casi di insufficienza venosa cerebro-spinale cronica, (interventi di liberazione per disostruire soprattutto le vene giugulari). Sulla base dei dati al momento disponibili non risulta tuttavia che Pag. 14tali interventi siano stati effettuati nell’ambito di specifici trial e l’esito degli interventi non è stato documentato, purtroppo, attraverso un sufficiente numero di pubblicazioni scientifiche. Risulta altresì che vi siano strutture in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e in Polonia che hanno effettuato tali interventi di liberazione ma mai in condizioni di adeguato controllo scientifico.
Di recente è stato avviato presso gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico Mondino di Pavia e Don Gnocchi di Milano, uno studio sull’argomento con finalità diagnostiche non terapeutiche, per valutare, tramite doppler venoso, quale sia la prevalenza dell’insufficienza venosa cerebro-spinale cronica nella sclerosi multipla e quindi poter scientificamente, eventualmente, correlare tale insufficienza alla malattia. La motivazione che costituisce la base di questa ricerca è, oltre alla volontà, ovviamente, di avvalorare dal punto di vista scientifico le precedenti osservazioni, la davvero pressante necessità di dare rapidamente una risposta concreta alle ipotesi della stasi venosa e della sua eventuale terapia per contribuire alla cura di una patologia particolarmente grave ed invalidante come la sclerosi multipla.
Peraltro, dato che lo studio è stato avviato in tempi brevi ed è quindi tuttora nella sua fase iniziale, al momento, i risultati sono parziali e necessitano, purtroppo ancora, di maggiore approfondimenti. Il Ministero della salute ha effettuato una specifica ricerca per quanto attiene ai sistemi bibliografici scientifici internazionali al fine di raccogliere e verificare i lavori scientifici più recenti sull’argomento. In effetti è stato possibile riscontrare, allo stato dell’arte, che la produzione non risulta né imponente, né esaustiva, per cui, tuttora, non sussiste documentazione evidente sull’efficacia della terapia in questione, ma resta viva, e lo sottolineo con grande enfasi e soprattutto con grande partecipazione personale, la nostra attenzione sui suoi sviluppi.
Tenuto conto della specificità e della delicatezza della questione posta, mi preme indicare le iniziative avviate direttamente dal Ministero della salute.
Al fine della tutela della salute dei pazienti, il Consiglio superiore di sanità ha costituito un gruppo di lavoro ad hoc. Il gruppo ha individuato gli ambiti di approfondimento più significativi, non solo in termini clinici, ma anche di ordine socio-sanitario per l’eventuale accesso alla cura. Ha esaminato l’ipotesi medica di riconducibilità della sclerosi multipla ad una condizione di insufficienza venosa cerebro-spinale cronica e ha individuato anche l’orientamento della comunità scientifica nazionale ed internazionale in merito a tale ipotesi e all’inquadramento nosologico e clinico-diagnostico della insufficienza cerebro-spinale cronica come patologia a sé stante, con eventuale indicazione terapeutica di disostruzione della stenosi del sistema venoso extracranico, qualora il quadro clinico lo giustifichi. Inoltre, ha verificato se procedere, allo stato attuale, delle conoscenze e dei risultati disponibili, incentivando studi clinici multicentrici e multidisciplinari per confermare l’associazione tra l’insufficienza cerebro-spinale cronica e la sclerosi multipla, e valutare la fattibilità e l’efficacia clinica dell’intervento di disostruzione venosa, ovvero favorendo il possibile impiego del trattamento disostruttivo al di fuori dell’ambito della sperimentazione clinica e della ricerca.
Mi preme anche ricordare che il Consiglio superiore di sanità ha audito direttamente lo stesso professor Zamboni, ed ha espresso un parere, nella seduta dell’8 giugno 2010, dal quale si evince che, nel condividere le considerazioni conclusive e le proposte del gruppo di lavoro, e facendo seguito all’audizione del professor Zamboni, considerato che, molti dati oggi presenti in letteratura e accettati dalla comunità scientifica non sono in accordo con l’ipotesi di correlazione tra l’insufficienza venosa cronica e la sclerosi multipla, si è espresso all’unanimità sottolineando che – riporto esattamente quanto specificatamente affermato dal Consiglio superiore di sanità – «ad oggi l’efficacia di qualsiasi procedura terapeutica Pag. 16vascolare non è sicuramente dimostrata ed è quindi da posporre all’acquisizione di dati scientifici che provino una sicura associazione con la sclerosi multipla».
Il Consiglio superiore di sanità si è poi riunito il 13 luglio 2010, per ascoltare, in audizione, le delegazioni delle principali associazioni di malati di sclerosi multipla; in tale sede è stata in particolare sollecitata una riflessione sulla possibilità che, indipendentemente da una presunta correlazione con la sclerosi multipla, questa insufficienza venosa sia riconosciuta quale patologia autonoma anche in Italia, con conseguente sottoposizione ad intervento di coloro che ne siano affetti.
Si è previsto, per la ripresa dei lavori del Consiglio superiore di sanità, la convocazione delle società scientifiche competenti, al fine di acquisire utili elementi per il proseguimento del dibattito così riaperto. La tematica si sta rivelando particolarmente complessa, anche in termini di politica sanitaria, per le più recenti ed innovative indicazioni diagnostiche e terapeutiche che, preannunciate nell’ambito della ricerca scientifica, sono rivendicate già in termini assistenziali indipendentemente dallo sviluppo dei dati sperimentali.
Mi preme, comunque, sottolineare e rimarcare che la tematica è, senza dubbio, di grande interesse; sarò veramente attenta e mi coordinerò con la deputata Farina Coscioni e i cofirmatari di questa interpellanza per valutare insieme quale siano le opportunità di cura e di assistenza per i pazienti.

PRESIDENTE. L’onorevole Lenzi, cofirmatario dell’interpellanza, ha facoltà di replicare.

DONATA LENZI. Signor Presidente, questa interpellanza «aggiorna» una precedente interpellanza del 4 marzo 2010, presentata in Commissione.
Signor sottosegretario, quello che lascia perplessi, nella sua esposizione ampia e sempre puntuale, è che le due risposte non tornano. Ci è stato detto che due regioni, Lazio ed Emilia Romagna, avevano già avviato protocolli di sperimentazione.
Nella sua risposta i protocolli di sperimentazione avverrebbero a Pavia e a Milano, presso istituti clinici. Queste cose tra di loro sono connesse? Si parlano? Le sperimentazioni si svolgono sulla stessa base? Adottano gli stessi criteri? Ne consegue una valutazione unitaria?
Il Ministero, che anche con l’appoggio dei parlamentari della Commissione di merito spesso rivendica un ruolo nei Pag. 17confronti delle regioni, deve rivendicare tale ruolo anche nel momento in cui si affrontano temi come questo e non solo con l’affiancamento del Ministro dell’economia e delle finanze nel momento in cui si discute l’assegnazione delle risorse. Nel caso di specie siamo di fronte a un grande movimento – e nel sito di facebook i malati che soffrono di questa patologia superano i 15 mila – e a una grande pressione da parte di chi chiede di poterla svolgere. In realtà, si tratta di un eco-doppler e, quindi, potrebbero fare questo esame con una normale prescrizione. Ovviamente, vogliamo sapere se vi sono conseguenze e quali sono, perché siamo di fronte ad una vicenda in cui l’Italia è uno dei Paesi in cui questa cura è stata avviata e, quindi, non dico che potremmo rivendicare una primogenitura ma, comunque, partecipare ad una ricerca a livello internazionale.
Mi permetto, inoltre, di aggiungere che pur comprendendo la necessità della preoccupazione della tutela della salute pubblica, il Consiglio superiore della sanità è stato più che dalla parte dei bottoni perché ha affermato che quando da qualche altra parte del mondo ci sapranno dire, con le pubblicazioni scientifiche, che questa sperimentazione è efficace allora noi daremo il via. Ma qui si chiede di autorizzare la sperimentazione e non di introdurre un nuovo farmaco o un nuovo strumento.
Pertanto, sono rammaricata, e pur augurandomi che il suo impegno ci permetta di lavorare e di interloquire, devo ancora dichiararmi insoddisfatta.

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