Riforma della giustizia, quei referendum Radicali che piacciono al Pdl
In questi mesi di concitata e febbrile polemica politica sulle priorità del governo, del Parlamento, sui processi di Silvio Berlusconi e sulle necessità di riforma in alcuni apparati dello Stato, i Radicali continuano una battaglia che portano avanti oramai da diversi anni: quella per una riforma dell’intero sistema giustizia, lento, elefantiaco, iperburocratico e, sopratutto, irrispettoso dei più basilari diritti civili ed umani del cittadino.
Entrare in un tribunale civile, in Italia, significa uscirne (in media) solo dopo 1260 giorni; sul penale è, se possibile, persino peggio: la presunzione d’innocenza è oramai diventata un “privilegio d’innocenza”, con un 45% di detenuti in attesa di giudizio (la metà dei quali verrà giudicata innocente), ed una situazione carceraria divenuta oramai intollerabile per sovraffollamento e condizioni di detenzione che definire “inumane” non è esagerare.
Una condizione che Marco Pannella definisce
“la flagranza di reato dello Stato Italiano di fronte all’Europa”
e che lo ha portato a sopportare numerosi scioperi della fame (l’ultimo in corso) ed azioni nonviolente, fino ad arrivare a chiedere l’intervento del capo dello Stato (che due anni fa parlava di “prepotente urgenza”, salvo poi pilatescamente dimenticarsene) e a presentare le liste radicali alle ultime elezioni con il nome di Lista Amnistia, Giustizia e Libertà.
Una battaglia radicale, quella per la riforma della giustizia e per l’amnistia, passata sotto silenzio negli ultimi anni e tornata prepotentemente agli onori delle cronache nelle ultime settimane, non tanto per l’impegno profuso dai tanti attivisti che, nelle piazze e nelle strade di tante città italiane (da Roma a Matera, da Torino a Firenze), stanno raccogliendo le firme per proporre “12 referendum per i nuovi Diritti Umani e la Giustizia Giusta”.
Il motivo per cui il mondo dell’informazione italiano comincia a parlare di questi referendum è lo stesso che dà tanto lavoro a cronisti ed editorialisti delle manette luccicanti: Silvio Berlusconi. I problemi giudiziari dell’ex primo ministro però nulla c’entrano con questa raccolta firme, caldeggiata, appoggiata e persino sostenuta materialmente e fisicamente da alcuni esponenti del Pdl (Mara Carfagna si è spesa tantissimo nella sua Salerno, Mariastella Gelmini ha detto ieri a Polisblog di aver firmato per sei quesiti su dodici, ma anche Nitto Palma, Daniele Capezzone, Maurizio Gasparri hanno manifestato il loro gradimento a questa raccolta firme). Lo ha spiegato a Polisblog Rita Bernardini, ex deputata Pd-Radicali presente ieri al banchetto ai piedi di Palazzo Grazioli:
“La scelta di venire qui ci ha premiato, avremmo dovuto avere un tavolo lungo fino a piazza Venezia per permettere a tutte le persone che ci sostengono di firmare per i referendum.
Questa non è una battaglia ideologica, che facciamo con il centrodestra:siamo stati anche alla Festa dell’Unità, con la differenza che lì il partito, il Pd, non si è espresso a favore dei referendum se non con qualche singolo esponente, mentre qui il Pdl e Silvio Berlusconi si sono chiaramente espressi sul tema.”
Effettivamente le file viste alla Festa dell’Unità di Roma, come anche al concerto dei Sud Sound System di Villa Ada di qualche giorno fa o, più diffusamente, nei vari banchetti in tutto il Paese, mostrano come i temi proposti siano assolutamente trasversali e non strumentalizzabili da questa o quella compagine politica (o giornalistica, visti gli editoriali del Fatto Quotidiano che hanno oramai raggiunto un livello di follia manettara degna della Corea del Nord).
Prima di entrare nei temi specifici bisogna però prendere atto di alcune cose importanti: ai Radicali non interessano le alleanze (sono fuori dal Parlamento) ma portare a casa il risultato, arrivare all’obiettivo in cui credono con il consenso più ampio possibile. Poca importanza ha la direzione di provenienza di quel consenso: non è obbligatorio firmare tutti i quesiti (Mariastella Gelmini a Polisblog ha confermato di averne firmati soltanto sei, tutti sulla giustizia), non è importante chi dice cosa: è importante, e questo Marco Pannella lo va spesso sbraitando, una presa di coscienza collettiva su questi temi, una coscienza assopita dal “regime partitocratico”. L’endorsement di Berlusconi, ma c’è stato anche quello, poi ritrattato, di Beppe Grillo (il PD insomma è l’unico partito a non avere una posizione nonostante i registri per la raccolta firme riportino numerosi nomi di esponenti democratici).
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