Quel no agli Ogm che nega il futuro

La Monsanto ha ritirato le domande per ottenere dalla Ue l’autorizzazione per nuove colture Ogm. In sostanza lascia il mercato europeo. Troppo difficile conquistare la fiducia dei consumatori e dei decisori politici. Ora, soprattutto in Italia, la parola Ogm è quasi un tabù. A pronunciarla ti attiri molte antipatie. Tuttavia, se ragioniamo con calma, capiamo che l’acronimo Ogm non significa niente. Tutte le piante che mangiamo sono organismi geneticamente modificati.

In sintesi, tutto è artificiale, in effetti si può sostenere che l’agricoltura è la pratica più innaturale che esista. Quando i nostri progenitori, in Mesopotamia, cominciarono a coltivare il farro e l’orzo distico, presero a selezionare quelle piante che non perdevano il seme, avevano cioè il rachide duro (l’asse centrale dell’inflorescenza che porta la cariosside). Per un motivo semplice, il frumento non produce le cariossidi (comunemente dette semi) per noi umani, le produce per riprodursi, quindi logicamente il seme deve cadere per terra.

Ma la schiena di noi umani è fragile e così invece di raccogliere le cariossidi dal terreno si sono scelte e selezionate e dunque coltivate quelle piante che per una mutazione non perdevano il seme. Abbiamo, cioè, inconsciamente selezionato un carattere agronomico a noi utile. Siccome dietro quel carattere c’è un gene, abbiamo dunque modificato geneticamente il frumento – cambiando per sempre la natura del cereale. Non è la sola modifica: frumento a parte, l’elenco dei geni trasferiti, cancellati, mutati, è così lungo che occuperebbe varie pagine. Dunque cosa cambia?

Cambia la tecnica. In realtà l’acronimo Ogm identifica una procedura, il Dna ricombinante appunto, grazie alla quale invece di incrociare (con centinaia di incroci innaturali) piante fra di loro per passare i geni da una parte all’altra, invece di usare il cobalto 60 per ottenere mutazioni o noi utili, semplicemente trasferiamo il singolo gene (cioè quel tratto di Dna che codifica la proteina) da una pianta all’altra o da una specie all’altra. Dunque, cosa facciamo di diverso dai nostri avi?

Niente, spostiamo geni come loro, solo che lo facciamo con più precisione. Perché conosciamo meglio il Dna (e lo conosceremo sempre meglio grazie alla biologia molecolare) e sappiamo che proteina (cioè che carattere) quel gene codifica. Perché trasferiamo i geni e modifichiamo le piante? Perché la vita delle piante è dura, sono attaccate da insetti, malerbe e patogeni. Possiamo pronunciare belle parole: qualità, made in Italy, biologico o altro, ma gli insetti non sono sensibili su questi temi, attaccano e distruggono i raccolti.

Dobbiamo ricordarci che solo 60 anni fa la produzione agricola, senza agrofarmaci e concimi di sintesi, era insalubre oltre che bassa. Ora, la chimica ha regalato l’abbondanza ma anche problemi di inquinamento. Quindi i genetisti grazie alla suddetta tecnica che semplifica e velocizza alcuni passaggi, hanno pensato di lavorare sulla pianta, per così dire, «corazzarla meglio» e difenderla (in parte) dagli insetti o dai patogeni.

In sintesi, meno chimica più geni che donano resistenza. La nostra scuola genetica e – tengo a sottolinearlo – pubblica, vanta nomi illustri e negli anni ha «corazzato» tanti nostri prodotti tipici, come il pomodoro San Marzano (hanno inserito una resistenza contro il virus del mosaico del tabacco) o il melo Renetta della Val D’Aosta e altre decine e decine. Ma questi prodotti sani gusti e innovativi non possono essere messi sul mercato, perché due decreti (Pecoraro Scanio e Alemanno) hanno bloccato la sperimentazione in questo settore.

Chissà perché alcuni nostri ministri parlano sempre di qualità e si dimenticano che senza la ricerca e senza la genetica possiamo dire addio alla qualità. E chissà perché non concedono ai biotecnologi di lavorare. Nemmeno si tenta di fare chiarezza sui tanti falsi miti che circolano intorno alle biotecnologie – un settore nel quale in tanti la pensano come Scilipoti, tanto per citare uno che in Parlamento ha detto cose assurde e fantascientifiche sugli Ogm. Insomma, non si capisce perché questo Paese non voglia affrontare i problemi grazie a un metodo serio, cioè scientifico e continua, al contrario, ad essere in ostaggio delle belle parole e del passato che, diciamo la verità, meno male che è passato.

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