Cari proibizionisti beati voi che siete così ignoranti
Joseph Goebbels, il capo della propaganda nazista, lo aveva ben compreso: “Una menzogna ripetuta all’infinito diventa la verità”. Da Il Dubbio del 28 ottobre 2016
È quello che accade un po’ tutti i giorni. Federica Colonna, in un suo studio su “Politica e informazione: la verità è morta e sepolta”, apparso su Strade online, ci ricorda che viviamo tempi in cui si viene indotti a credere “(…) in quello che ti convince di più, indipendentemente dalle prove che possiedi. È il mantra della politica e della comunicazione post-verità, alla quale i social media fanno da cassa di risonanza e della quale siamo tutti un po’ vittime”.
Questo Mantra è tipico di chi, per esempio, sostiene le leggi proibizioniste sulla droga in generale, e sulla cannabis in particolare, anche quando le “prove” scientifiche sono a disposizione di quanti vogliano “conoscere la verità”: c‘è ormai una pressoché generale concordanza a livello mondiale nel riconoscere il fallimento globale dell’approccio proibizionista. Eppure…
Un esempio di “verità” negata (e di sotteso approccio squisitamente ideologico e preconcetto) alla questione, viene da un recente convegno, “Cannabis, non è mai leggera. Droga, mafia, legalità”, organizzato dai senatori Carlo Giovanardi e Maurizio Gasparri (che, beninteso, nulla hanno a che spartire con Goebbels, ma fanno uso della sua “tecnica”). Scopo dichiarato del convegno: mettere in guardia dalla pericolosità della legalizzazione della cannabis eriaffermare che legalizzare sarebbe semplicemente un favore alle organizzazioni mafiose e criminali.
Se queste tesi si fondassero su elementi “scientifici”, frutto di attente e rigorose analisi e ricerche, benvenute. Il confronto e la discussione sono sempre utili. Ma quando si fa ricorso, come hanno fatto i relatori, unicamente a ideologia e preconcetto, cosa si può mai opporre? Quando si riportano dati che non corrispondono alla realtà, quando si dimostra letterale ignoranza, e passi per certi politici, che da tempo hanno dimostrato d’essere quello che effettualmente sono, ma ben più grave quando quella “ignoranza” è condivisa anche da procuratori e giuristi come Nicola Gratteri.
La non conoscenza del tema di cui parlano è innanzitutto evidente nell’utilizzare liberalizzazione (Giovanardi in particolare) o legalizzazione indifferentemente, mentre sono concetti completamente opposti e causano situazioni altrettanto opposte. I dati sulle conseguenze della legge proibizionista attuale, e tanto più della Fini-Giovanardi, mostrano in realtà che la liberalizzazione di fatto è una loro conseguenza, si può dimostrare, obbligata.
Per completezza (e anche per motivi etici) però commentiamo subito un’idea generale sostenuta da tutti gli intervenuti, che compare anche nel titolo del convegno, ed è estremamente dannosa, come si può dimostrare con i dati.
Tale manifestazione di grande ignoranza è nel rifiuto a priori degli aggettivi legati internazionalmente alle droghe: “lieve” o “grave”, “leggera” o “pesante”. Si dice che tutte le droghe vanno considerate “pesanti” e, quindi, equiparate in qualsiasi legge. Questo concetto qualunquista è assolutamente contrario ai risultati scientifici. Esistono da almeno otto anni scale di tossicità delle diverse sostanze proposte indipendentemente da due scienziati: David Nutt (UK) e Jan van Amsterdam (NL), da cui si può affermare che, pur non essendo identiche, entrambe le scale mantengono la cannabis tra le sostanze meno tossiche, anche rispetto all’alcol e al tabacco e alle buprenorfine e benzodiazepine. Solo per fare un esempio il valore sintetico di tossicità dell’alcol è 2,18 e quello della cannabis 1,18, dell’eroina 2,51 e della cocaina 2,07 (minore dell’alcol).
Invece l’ equiparazione ideologica di tutte le sostanze è stata l’idea alla base della Fini-Giovanardi e ha creato conseguenze devastanti in Italia, riguardanti soprattutto l’uso tra i giovani, che è stato misurato.
L’equiparazione delle pene per ogni tipo di sostanza spacciata ha spinto, per convenienza, gli spacciatori italiani al dettaglio a vendere contemporaneamente diversi tipi di sostanza e quindi indotto Gratteri a sostenere la tesi che, se anche non si dovessero fare interventi di repressione contro lo spaccio di cannabis per la legalizzazione, non si risparmierebbero risorse, perché la cannabis si spaccia insieme alle altre sostanze, e dalle stesse persone.
In parte è stato vero e questo è il risultato della Fini-Giovanardi: dal 2006, più di quanto accadeva in precedenza, ma non sempre come dice Gratteri, si sono spacciate diverse sostanze contemporaneamente. Il fenomeno è dimostrato soprattutto, da un lavoro internazionale basato sulle indagini sulla popolazione studentesca in cui risulta che il “poliuso”, generato dal polispaccio, è a un livello altissimo in Italia: i giovani 16enni italiani hanno un livello di “poliuso” maggiore di quelli di tutti i paesi (38 in tutto) dell’indagine ESPAD 2011. Va però aggiunto che solo una parte di luoghi di spaccio è un “supermercato” di sostanze.
Ora la Fini-Giovanardi non è più in vigore dal 2014 e si analizzeranno i dati ESPAD del 2015 per verificare se il poliuso giovanile in Italia si è ridotto per la riduzione della convenienza del polispaccio di nuovo con la Jervolino-Vassalli.
Ma, rispetto alla frase qualunquista di Gratteri sui supermercati delle sostanze, vale quello che dicono i numeri “veri” relativi allo spaccio, che in questo caso, sono stati stimati e riportati nel libro che abbiamo curato “Proibizionismo, criminalità, corruzione”. Negli ultimi anni il numero medio di lavoranti di livello medio-bassonell’offerta di cannabis è 250mila, nella cocaina 190mila e nell’eroina 90mila.
Se si analizzano i dati relativi alle denunce e ai sequestri nei rapporti DCSA, si scopre che sono molto meno di metà i casi in cui si sequestra più di una sola sostanza, quindi almeno 150mila spacciatori di cannabis lavorano solo su questa sostanza, ovvero più della metà verrebbero “legalizzati” o eliminati e sostituiti da venditori legali. In parole e conti rozzi si eliminerebbe almeno la metà delle operazioni di riduzione dell’offerta e, quindi, si avrebbero a disposizione risorse per più importanti interventi, come dice la Direzione Nazionale Antimafia che, del resto, possiede i dati più affidabili e completi perché linkabili tra vari data sets, come nessun altro Ente possiede, e ha dimostrato di saperli usare scientificamente senza cappelli ideologici”:
Se è vero che legalizzare le droghe leggere porterebbe “ad una perdita secca di importanti risorse finanziarie, per le mafie e per il sottobosco criminale che, ad oggi, hanno il monopolio del traffico” dall’altra parte ci sarebbe una contestuale acquisizione di risorse finanziarie per lo Stato, attraverso la riscossione delle accise.
E anche per la lotta al terrorismo (elemento prioritario dell’agenda politica internazionale) potremmo assistere “al prosciugamento, in una più ampia prospettiva di legalizzazione a livello europeo, di risorse economiche e finanziarie per il terrorismo integralista che controlla la produzione Afghana di cannabis”.
In conclusione, (scrive la DNA) potremmo assistere “ad un vero rilancio – attraverso la liberazione e l’acquisizione delle predette risorse – dell’azione strategica di contrasto, che deve mirare ad incidere sugli aspetti (davvero intollerabili) di aggressione e minaccia che il narcotraffico porta sia alla salute pubblica (attraverso la diffusione di droghe pesanti e sintetiche) che all’economia ed alla libera concorrenza (attraverso il riciclaggio)”.
Un altro punto comune a molti relatori è il riferimento alla cannabis modificata, con THC più elevato, messa in circolazione e quindi più “pesante”, osserviamo che istintivamente sembrano considerare la pesantezza e leggerezza delle sostanze quando risulta comodo per giustificare l’opposizione alla legalizzazione. Ma proprio questa informazione rende ancora più urgente la legalizzazione in quanto la sostanza legalizzata sarebbe sottoposta a controllo, mentre quella venduta al mercato nero non lo è e viene modificata per rendere più “legati” i consumatori. Consideriamo ancora i numeri snocciolati dal procuratore Gratteri che sostiene che non ci sono tossicodipendenti in carcere, perché non si viene arrestati se si possiede un grammo di cocaina (in parole povere: se si viene scoperti con poca droga e quindi classificati consumatori). Affermazione confondente per chi ascolta. Stranamente in questo caso un giurista utilizza l’art.75, relativo al consumo, per supportare il dato falso sulla non presenza di tossicodipendenti in carcere, sostenendo che lo stato di tossicodipendente (meglio si dovrebbe dire di “consumatore”), non implica l’incarceramento; ne deriva, come dice il procuratore, che se un tossicodipendente è in carcere deve aver pure commesso qualche azione violenta (anche un omicidio) sotto l’effetto delle sostanze.
Non è così. I tossicodipendenti in carcere sono circa un terzo dei detenuti; sono finiti in carcere non tanto per azioni violente commesse sotto l’effetto di droghe, quanto per crimini connessi alla necessità di autofinanziare l’acquisto delle loro droghe. Su questo i dati “veri” sono forniti e pubblicati a cura delle regioni e del Direzione Amministrazione Penitenziaria. A disposizione ci sono anche dati europei. Infine, la Strategia europea 2013-20 sostiene che si debba:
“Ingrandire lo sviluppo, la disponibilità, e la copertura delle misure di riduzione della domanda di droga nelle prigioni, in modo adeguato e basato su una corretta valutazione dello stato di salute e delle necessita dei detenuti, con lo scopo di raggiungere una qualità di cura equivalente a quella a cui si provvede nella comunità e in accordo con il diritto alla cura della salute e alla dignità umana come onorata nella Convenzione europea sui diritti umani e nell’atto costitutivo europeo dei diritti fondamentali. Dovrebbe essere assicurata la continuità di cura in tutte le fasi del sistema di giustizia criminale e dopo il rilascio”.
Ancora: Gratteri afferma, parlando degli effetti della legalizzazione del 2012 nello stato americano del Colorado,che nel 2012, 2013 e 2014 si è registrato un aumento dei crimini 6,2%, e una crescita dei reati di 10861 per implicazioni violente, e 33411 contro il patrimonio nel 2013; inoltre si è impennato del 66% per cento il numero degli incidenti mortali dovuto alla marijuana, e un aumento dei consumi nel 2013-2014 del 32% per cento rispetto il biennio precedente.
Peccato solo che il primo punto di vendita legale per uso non medico della marijuana risalga al primo gennaio 2014 e occorre tener conto che chi diffonde quei dati è quel Tom Gorman, direttore di Rocky Mountain High Intensity Drug Trafficking Area program, che il Denver Post ha etichettato, un “soldato della Guerra alla droga” (drug-war soldier) che non si ricorda che la battaglia è finita. I sostenitori della marijuana terapeutica chiamano lui il comandante di una “guerra ai pazienti”, dato che dietro le quinte lui sta aiutando a maneggiare la legislazione dello stato per distruggere la crescita del settore dispensario statale. Gorman è autore di rapporti annuali nei quali dichiara anche (sue opinioni non suffragate da dati scientifici) che ogni volta che si legalizza una sostanza l’effetto immediato è quello che un numero sempre maggiore di persone ne faccia uso, con la conseguenza che più persone consumano una droga più crescono gli effetti negativi sulle loro vite; e aggiunge che chi beve alcol, non per forza si ubriaca, mentre chifuma marijuana lo fa per sballo, parole riferite “pomposamente” da Gratteri al convegno.
Al contrario: i dati ufficiali sull’uso tra i giovani in Colorado sono più rassicuranti, come rilevato dai risultati di un’indagine statistica che ha coinvolto 17mila ragazzi delle scuole medie e superiori, e un rapporto ufficiale del marzo 2016, dove si evidenzia come i guidatori sotto influenza di marijuana, anche insieme ad alcol o altre droghe non siano aumentati tra il 2014 ed il 2015. Stessa tendenza per i reati contro il patrimonio, il cui tasso è diminuito del 3% dal 2009 al 2014, mentre quello per i crimini violenti si è ridotto del 6% nello stesso periodo.
Non servono commenti ulteriori per mettere in luce la scarsa conoscenza del fenomeno di cui parlano gli oppositori alla proposta di legge in discussione, ma ci sarebbero altri esempi di non verità utilizzati nel convegno.
Per chi vuole approfondire le conseguenze delle leggi proibizioniste, ma soprattutto a quanti ne vogliono parlare e discutere, consigliamo la lettura integrale del libro “Proibizionismo, criminalità, corruzione” che abbiamo curato con prefazione di Giovanni Maria Flick (UniversItalia, Roma 2016). Pensiamo che sarebbe utile anche al procuratore Gratteri. Quanto ai senatori Giovanardi e Gasparri, vorremmo sperarlo, ma non osiamo.
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