Modifiche all’articolo 16 dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, concernenti l’abolizione della possibilità di assunzione di incarichi extragiudiziari da parte dei magistrati ( 253 )

Onorevoli Colleghi! – Il tema del regime delle incompatibilità dei magistrati e degli incarichi extragiudiziari costituisce uno degli argomenti di maggiore rilevanza nel quadro dell’affermazione dei valori costituzionali di autonomia e di indipendenza della magistratura sanciti nell’articolo 104 della Costituzione.
Di particolare delicatezza, in tale ambito, è il tema delle incompatibilità di funzioni dei magistrati. Il vigente secondo comma dell’articolo 16 dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, stabilisce, per i magistrati ordinari, oltre al divieto di assumere «pubblici o privati impieghi od uffici», ad eccezione di cariche parlamentari e di amministratore (non remunerato) di istituzioni pubbliche di beneficenza, e di «esercitare industrie o commerci» nonché «qualsiasi libera professione» (primo comma), anche il divieto di accettare incarichi di qualsiasi specie e di assumere le funzioni di arbitro, senza l’autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura. In tale caso, ai sensi del terzo comma, i magistrati possono assumere le funzioni di arbitro unico o di presidente del collegio arbitrale ed esclusivamente negli arbitrati nei quali sono parte l’amministrazione dello Stato ovvero aziende od enti pubblici.
Si tratta di una normativa incompleta e frammentaria, alla quale ha fatto seguito


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una legislazione speciale che ha consentito sempre più frequentemente l’assunzione di incarichi extragiudiziari da parte di magistrati ordinari e, ancora di più, da parte di magistrati amministrativi e contabili. Il numero e la tipologia di incarichi sono tanto ampi e diversificati da rendere problematica una ricognizione certa delle norme che ne prevedono la realizzazione. Oltre a questo va considerato il caso di incarichi non previsti da norme di legge, ma autorizzati dagli organi di autogoverno delle magistrature.
Per modificare la disciplina degli incarichi il legislatore era intervenuto già in passato con la legge n. 97 del 1979, che, esprimendo un evidente sfavore verso le attività arbitrali dei magistrati, aveva previsto che le somme dovute ai magistrati a titolo di compenso per le funzioni di arbitro dovessero essere versate da coloro che sono tenuti ad erogarle direttamente in conto entrate del Tesoro, nella misura dell’80 per cento. Tale disposizione è stata però dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 116 del 1985.
Successivamente, con l’articolo 24 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, il legislatore ha previsto l’istituzione di un’anagrafe nominativa delle prestazioni presso il Dipartimento della funzione pubblica, in cui vanno indicati, con i relativi compensi, tutti gli incarichi pubblici e privati, non compresi nei compiti e doveri d’ufficio, resi da tutto il personale delle amministrazioni pubbliche, ivi compresi i magistrati e il personale della Banca d’Italia. Tale normativa è rimasta largamente inattuata.
Nell’XI legislatura è intervenuta sul tema una normativa fortemente criticabile nel merito in quanto, sostanzialmente, ha mantenuto il regime vigente che consente ai magistrati ampie possibilità di svolgere incarichi extragiudiziari, a scapito dello svolgimento di funzioni giurisdizionali.
L’articolo 58 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (ora articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001), recante disposizioni per la razionalizzazione e la revisione dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni e del pubblico impiego, infatti, emanato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante «Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale», aveva previsto, pur in assenza di una espressa indicazione da parte del legislatore delegante, l’emanazione di regolamenti delegificativi, da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, ai quali era affidato il compito di individuazione degli incarichi consentiti ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché agli avvocati e procuratori dello Stato. In attuazione di tale norma sono stati emanati il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1993, n. 418, recante norme sugli incarichi dei magistrati amministrativi, e il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1993, n. 584, recante norme sugli incarichi consentiti o vietati agli avvocati e procuratori dello Stato. Non sono stati ancora emanati, invece, i regolamenti relativi agli incarichi per la magistratura ordinaria e per quella contabile.
Tale normativa, oltre a operare un’inopportuna delegificazione in una materia di rilevanza costituzionale, consegnando al regolamento la disciplina di aspetti dello status dei magistrati che secondo la stessa legge n. 421 del 1992 sono riservati alla legge, mostra il fianco a rilevanti critiche attinenti al merito del provvedimento. I due regolamenti sinora emanati, infatti, hanno escluso soltanto lo svolgimento di collaudi di opere pubbliche, consentendo invece lo svolgimento degli arbitrati e di tutti gli altri innumerevoli incarichi extragiudiziari previsti dalla normativa vigente, ponendo delle limitazioni meramente simboliche e non effettive. La presente proposta di legge ha quindi l’obiettivo di impedire ai magistrati di assumere incarichi incompatibili con l’esercizio efficiente e imparziale delle loro funzioni principali e ordinarie, ovvero quello di amministrare la giustizia «in nome del popolo italiano».


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Come rilevato, i magistrati, previa autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura, possono accettare incarichi di qualsiasi specie e assumere le funzioni di arbitro, ma l’imparzialità e la terzietà del giudice, la metafora «dell’uomo giusto», chiuso nella sua «casa di vetro», non descrivono la realtà fattuale, quella realtà nella quale i magistrati «all’essere» dovranno sostituire il «dover essere», conquistando quella maggiore autorità insita nel fatto che non potranno assumere nessun altro incarico al di fuori delle loro attività giudiziarie.
I radicali da trent’anni denunciano che l’Italia è un Paese letteralmente «fuori-legge» quanto a funzionamento della «giustizia», quanto a rispetto dei diritti politici, costituzionali e umani, quanto a rispetto della legalità e dello Stato di diritto. Oggi tutti sembrano prenderne atto, dal Ministro della giustizia al Procuratore generale della Cassazione e al Procuratore generale della Corte dei conti, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ad ogni cittadino italiano ed europeo. L’esperienza ci ha dimostrato quanto grave sia lo stato della giustizia e quanto poco le istituzioni e i partiti politici abbiano a cuore, sinceramente, la risoluzione di questa situazione degradata. Difficile che la magistratura, da sola, riesca a riformare lo stato della giustizia, non essendovi riuscita in questi decenni.
Non resta che una risposta per tutti quei magistrati che non sono stati parte attiva nell’opera di distruzione della giustizia e dello Stato di diritto: appoggiare questa riforma. Un timido accenno di speranza si è avuto con l’adozione di un nuovo sistema elettorale per l’elezione del Consiglio superiore della magistratura, ma molte sono le ulteriori riforme necessarie: oltre alla separazione delle carriere, la responsabilità civile dei magistrati, la drastica riduzione dei termini di carcerazione preventiva e la contestuale introduzione di termini processuali certi e perentori, tutte proposte già oggetto in passato di referendum radicali ripresentate in forma di proposta di legge dal primo firmatario e dagli altri cinque sottoscrittori della presente iniziativa legislativa, deputati radicali della XVI legislatura. Vi è quindi l’ulteriore necessità di introdurre nell’ordinamento il divieto di assunzione di incarichi extragiudiziari per i magistrati.
Solo questi provvedimenti consentiranno una riforma liberale della giustizia, lasciando liberi i magistrati onesti e rigorosi di esercitare correttamente le proprie funzioni e impedendo a quella parte della magistratura artefice e complice della bancarotta della giustizia di produrre ulteriori guasti.


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PROPOSTA DI LEGGE

 

Art. 1.

1. All’articolo 16 dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al secondo comma, le parole: «, senza l’autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura» sono soppresse;

b) il terzo comma è abrogato.

 


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