Il fallimento della “tolleranza zero”
Una cosa è sicura: dopo cent’anni dalle prime iniziative repressive e punitive contro il consumo di sostanze stupefacenti, bisogna prendere atto di quello che è un sostanziale fallimento. Da L’unità del 23 aprile 2016
L’uso e l’abuso di droghe non è affatto diminuito, anzi è molto cresciuto; e contestualmente i crimini; traffico e consumo hanno arricchito e continuano ad arricchire le mafie, bilanci che superano quelli di interi stati, condizionandone le politiche. Il “proibizionismo” è sostanzialmente fallito, lo si ammette sempre più apertamente anche in paesi come gli Stati Uniti e la Svezia, che hanno fatto della “tolleranza zero” in materia di droga la loro bandiera. È giunto il momento di ragionare seriamente sulle possibili alternative.
Lo chiedono in modo esplicito, ponendo in modo inequivocabile la urgente necessità di modificare l’approccio al problema finora seguito, un migliaio di leader politici di tutto il mondo in una lettera al segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon. Chiedono “una vera riforma delle politiche globali di controllo della droga”; sostengono che “il regime di controllo delle droghe emerso nel corso del secolo scorso si è dimostrato disastroso per la salute globale, la sicurezza e i diritti umani. Focalizzato sulla criminalizzazione e la punizione, quel sistema ha creato un enorme mercato illegale che ha arricchito le organizzazioni criminali, i governi corrotti, innescato la violenza esplosiva, distorto mercati economici e minato valori morali fondamentali”.
In poche, efficaci parole ecco riassunte le conclusioni dei principali studi internazionali sulle gravissime “unintended consequences” delle politiche proibizioniste sulla droga applicate negli ultimi decenni.
A titolo di esempio ci sembrano particolarmente significative alcune cifre che documentano non solo l’inefficacia, ma il danno creato in Italia da una quantità di leggi in vigore dopo il 1990, tutte fondate sulla repressione penale.
Occorre innanzitutto valutare e “pesare” i costi e l’efficacia degli interventi repressivi. Il costo annuale per azioni di polizia, procedimenti e detenzione, nel solo 2014, per il singolo reato di spaccio (mancano dati su furti e rapine riferibili a tossicodipendenti), ammonta, pensate, a €1.135.929.301,93: 18 euro per abitante. Per quel che riguarda l’efficacia, occorre tener presente che un enorme spiegamento di forze, risorse ed energie comporta – sono cifre ufficiali fornite dalla Direzione Nazionale Antimafia – una percentuale di persone identificate sul totale delle persone coinvolte a livello medio-basso nell’offerta di sostanze illegali, di circa il 7 per cento. In pratica, le “perdite” inflitte alla criminalità organizzata non sono maggiori di quelle subite da un supermercato per scadenza dei prodotti, taccheggio, ecc.
Lo ammettono gli stessi investigatori, e praticamente tutti gli operatori sul “campo”: gli esiti di contrasto perseguiti dalle nostre leggi appaiono insignificanti; come riportato già lo scorso anno nella Relazione DPA al Parlamento, i risultati conseguiti sono stati decisamente negativi, uso, abuso e spaccio delle sostanze stupefacenti non risulta intaccato se non in modo irrilevante. Tutto il mondo si interroga, riflette, ragiona su queste questioni. La “war of drugs” scatenata negli anni ’80 del secolo scorso è clamorosamente fallita. In tutto il mondo si cercano e si individuano altre strade, si sperimenta, si cercano soluzioni pragmatiche e di buon senso.
Non sarebbe il caso, anche in Italia, di poterne discutere, confrontarsi e ragionarne pacatamente, senza pregiudizi e sulla base di conoscenze e dati di fatto? E offrire elementi di conoscenza e riflessione anche su questa materia non è compito e “missione” di un servizio che dice di essere “pubblico”? Lo chiediamo, formalmente al presidente e al direttore generale della RAI, ai responsabili delle reti, ai direttori dei telegiornali, a tutti coloro che dicono di fare informazione.
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