Testamento Biologico/Maria Antonietta Farina Coscioni alla Commissione Affari Sociali: “Il paese ci chiede il riconoscimento legale di un testamento biologico attraverso il quale siano obbligatoriamente rispettate le scelte individuali”.

Signor Presidente, colleghe, colleghi;
parlo in assenza del Governo. Preliminarmente desidero ripetere quanto ho già affermato nei giorni scorsi. Chiedo scusa per la ripetizione, ma credo sia opportuno e necessario farlo anche in questa sede, non fosse altro perché ne resti traccia in un resoconto parlamentare, di modo che chi vorrà, in futuro, ripercorrere le varie fasi del dibattito in materia di testamento biologico e fine vita ne possa venire a conoscenza. Un contributo, insomma, a che non si smarrisca la memoria di quello che accade, perché è importante che la memoria abbia un futuro. Dicevo nei giorni passati, e ripeto oggi, che rimangiandosi pubblici impegni, il capogruppo del PdL in commissione Affari Sociali ha proposto, di fatto, di strozzare il dibattito generale sul testamento biologico; le audizioni sono giudicate inutili, in quanto sarebbe sufficiente il lavoro effettuato dal Senato, e come testo base occorrerebbe adottare il testo di legge Calabrò licenziato da Palazzo Madama. Una posizione, una proposta pretestuosa e grave. Una proposta inaccettabile sotto un doppio profilo: perché si annullano, si espropriano prerogative e funzioni di una commissione della Camera dei Deputati; rivelano una curiosa, singolare concezione del rispetto delle istituzioni e delle prerogative parlamentari.

Ma anche sotto il profilo sostanziale, perché questa fretta – ma non credo di esagerare se parlo anche di arroganza – manifestata a ogni pié sospinto, ha una sola spiegazione: si vuole, in tempi rapidi portare in dono alle gerarchie ecclesiastiche il testo di legge sul testamento biologico; e si vuole che sia il testo di legge che le stesse gerarchie vogliono e hanno letteralmente dettato; in questo modo patetico e offensivo per le coscienze di tantissimi cattolici, la PdL intende farsi perdonare stili di vita e personali comportamenti del suo leader, l’attuale presidente del Consiglio: in pubblico difensore di virtù e morale, che privatamente in modo plateale contraddice e smentisce. Dunque, almeno, si sia meno ipocriti: si abbia il coraggio di dirlo e sostenerlo apertamente: giorno dopo giorno, tassello dopo tassello, le tessere del mosaico che si sta componendo rivelano un quadro deprimente e inquietante, e si procede verso quello che altri molto più autorevoli di me, hanno definito “Stato etico”: la blindatura, da parte del Governo, del ddl Calabrò annunciata dal ministro Sacconi in un’intervista al quotidiano della CEI “Avvenire”; il colpo di mano sulle cure palliative, con gli emendamenti presentati dal relatore alla Commissione Affari Sociali che stravolgono l’intero testo di legge e vanificano il paziente lavoro svolto in questi mesi; i finanziamenti negati alla ricerca sulle cellule staminali embrionali con una modalità ancora tutta da chiarire; la composizione di una commissione a senso unico con il compito di fornire le nuove linee guida in conseguenza alla sentenza della Corte Costituzionale, che – lo ricordo – ha letteralmente demolito un’altra legge da Stato etico, e mi riferisco alla legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita.

Assicurare un nuovo ciclo di audizioni anche da parte della Commissione Affari Sociali potrebbe, per esempio, consentirci di toccare con mano una drammatica realtà, vissuta quotidianamente, dai malati e dalle loro famiglie. La realtà, per esempio, di Giancarlo Frignone, affetto di SLA dal 2006, che ha già scritto il suo testamento biologico: “Io ho già scelto e deciso per la mia morte naturale: in nessun caso voglio che mi sia praticata una tracheotomia, per la respirazione artificiale. Non riconosco a nessun parente, tutore, medico o leggi, che possano decidere diversamente da quanto io stia dichiarando qui…desidero solo essere aiutato con sedazione e terapia antidolore”; la realtà di Delia D’Ettorre, una insegnante di Francavilla Fontana di 54 anni, malata di Sla da sedici anni. “Non escludo che in momenti di disperazione, io scelga la sospensione dell’alimentazione…Perché i politici si sono affrettati a emanare un decreto legge che sospendeva la sentenza che ha permesso ad Eluana di porre fine al suo calvario, mentre non fanno niente per i malati di SLA che hanno la sfortuna di vivere in regioni più povere?”. Così cominciava il suo intervento al recente secondo congresso della Cellula Coscioni di Francavilla Fontana, letto dal marito Francesco Mellone. E perché la commissione non dovrebbe acquisire la testimonianza, preziosa, di Paolo Ravasin che dichiara: “A partire dal momento in cui non fossi più in grado di nutrirmi ed idratarmi attraverso la mia bocca”, sostiene, “rifiuto la somministrazione di qualsiasi terapia medica destinata a trattare la malattia di cui sono affetto e oltre altre patologie sopravvenienti intese come complicazioni. Accetto unicamente i farmaci necessari a trattare i sintomi dolorosi derivanti…”.

Siamo, siete certi che ascoltare le loro testimonianze, i loro racconti, le loro drammatiche esperienze non sia utile e necessario per il nostro lavoro? Da dove deriva questa vostra certezza?Il dibattito, colleghe, colleghi, non è tra di noi, ma tra qui e i cittadini la fuori. Ed è uno dei più importanti e più autorevoli che ci troviamo a svolgere. E la differenza non risiede nello scontro tradizionale tra destra e sinistra ma tra visioni diverse della persona, della dignità della vita, del rapporto tra cittadino e lo stato. E proprio su questo ultimo aspetto che si caratterizzerà il dibattito non solo in questa legislatura, ma in uno Stato che si vuole laico, libero e democratico. Il capogruppo della PdL della Commissione Affari Sociali, e quanti si dichiarano d’accordo con lui, si assumono una grave, pesantissima responsabilità: quella di negare la conoscenza su quanto ogni giorno accade in questo paese, dove migliaia di pazienti con le loro famiglie sono condannati a inutili, spesso atroci sofferenze; perché poco o nulla si è finora fatto sul versante delle cure palliative; e ricordo che si era stabilito che ci si sarebbe occupati di testamento biologico e fine vita contestualmente alle cure palliative; al tempo stesso si tradisce il dettato costituzionale: l’articolo 32 stabilisce – lo sapete, ma è sempre bene rammentarlo – che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Ripeto: “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Come si sa, è a Aldo Moro e a Giovanni Leone che si deve la stesura della parte finale dell’art 32,secondo comma della Costituzione.

Aldo moro ebbe a dichiarare nella seduta della Commissione per la Costituzione del 28 gennaio 1947 che quel limite era necessario perché il legislatore non cadesse “nella tentazione dell’onnipotenza legata a considerazioni di carattere generale e di mala intesa tutela degli interessi collettivi”. E nel testo che deriva dal lavoro del Senato, l’autodeterminazione, la libertà di scelta che possono e devono essere temperati da altri diritti a me sembra che vengano totalmente negati. E si ricade in quella mala intesa tutela degli interessi collettivi di cui parlava Aldo Moro. Esiste l’articolo 3 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, sul diritto all’integrità della persona. Dispone che ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica; e che nell’ambito della medicina e della biologia devono essere particolarmente rispettati il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge. C’è infine la convenzione di Oviedo, con il suo articolo 9: “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”. Insomma, la volontà del paziente è preminente. Negarla, come la si sta negando con il ddl Calabrò significa porsi fuori dalla Costituzione. Vorrà dire che, al pari della legge 40 o dei ricorsi che la maggioranza di centro destra ha voluto opporre in merito a un inesistente conflitto di interessi a proposito della vicenda Englaro, la Corte Costituzionale provvederà, come mi auguro, a ripristinare il diritto violato. Ma nel frattempo migliaia di cittadini saranno costretti a pagare sulla propria pelle l’invasione e l’arroganza di una politica che di fatto è lontana dalle loro istanze. Cosa può essere una persona privata della libertà di scegliere nei momenti della sua vita, quando non fa danno ad altri? Il danno è già stato qualificato dallo Stato liberale, con alcuni pilastri fondamentali, cioè quello che il peccato non automaticamente è reato, e l’altro appunto che non c’è reato se non c’è vittima.

Credo si debba essere chiari e al tempo stesso onesti. Il paese, ci chiede che nelle scelte relative al fine della vita sia rispettato il diritto all’autodeterminazione di ciascun cittadino, per abbattere il fenomeno dell’eutanasia clandestina e di quella cattiva morte “all’italiana”, fatta di violenza contro i malati, accanimento terapeutico e imposizione di inutile sofferenza. Il paese ci chiede il riconoscimento legale di “un testamento biologico” attraverso il quale siano obbligatoriamente rispettate le scelte individuali, compresa quella di non ricorrere alla nutrizione e all’idratazione artificiale. E’ giunto il momento, colleghe e colleghi, di schierarsi. Lo dico alle colleghe e colleghi del centro-sinistra; ancor più lo dico alle amiche e agli amici laici del centro-destra. Vedete: le battaglie per il diritto a una buona vita, e a una buona morte non riguardano solo la libertà della ricerca e le questioni legate alla bioetica, ma anche e soprattutto all’etica della vita. Quello che dobbiamo affermare, difendere, conquistare sono i valori dello Stato di diritto e della laicità. Nessuno ovviamente intende negare il diritto del Vatiano di esprimere le proprie idee, i propri principi. Quello che si chiede, però, è che l’Italia sia un paese sovrano, e non subisca ingerenze da parte di altri Stati. Il testo di legge sul testamento biologico proposto dalla maggioranza non rispecchia il sentire degli italiani; e credo sia sufficiente leggere qualche sondaggio per rendervi conto quanto la comunità scientifica sia desiderosa che il nostro sia un paese più laico e moderno. Negare, come si intende negare, la possibilità di audizioni e di acquisire informazioni e ulteriori “saperi” serve, tra le altre cose, a rinunciare a prendere atto che il ddl Calabrò è un testo che non ha corrispondenza con le legislazioni degli altri paesi europei e occidentali. Gli Stati Uniti hanno regolamentato la materia fin dal 1991, a conclusione di un lungo e approfondito dibattito cominciato negli anni Settanta. In quel paese nutrizione e idratazione sono considerati trattamenti sanitari, non un mezzo per il mantenimento della vita, il paziente cosciente può rifiutare i trattamenti, anche se di sostegno vitale; per quanto riguarda il paziente non più cosciente, va rispettata la sua volontà quando espressa in condizione di capacità, e documentabile; altrimenti è un fiduciario a decidere. In Belgio è prevista l’eutanasia su richiesta esplicita del paziente.

Ai cittadini viene riconosciuta la possibilità di predisporre un testamento biologico con dichiarazione anticipata di trattamento, scegliendo a quali cure sottoporsi e quali rifiutare. In Danimarca è stata istituita una banca dati elettronica, che custodisce le direttive anticipate dei cittadini. In caso di malattia incurabile o di grave incidente, i danesi che hanno depositato il testamento medico possono chiedere l’interruzione delle cure e dei trattamenti e di non essere tenuti in vita artificialmente. Nel caso di sopravvenuta incapacità, il diritto del malato può essere esercitato dai familiari. In Francia la materia è regolata con una legge del 2005 che riconosce il diritto al rifiuto dell’accanimento terapeutico. E’ riconosciuta la figura del fiduciario, da consultare nel caso in cui il paziente sia incapace di esprimere le proprie volontà. In Germania il testamento biologico trova attuazione nella legge recente e di questa legge ne ha evidenziato le pecularietà il collega Della vedova. L’Olanda è il primo paese al mondo che, fin dal 2001, ha modificato il suo codice penale per rendere legali, in alcune circostanze rigorosamente normate, sia l’eutanasia che il suicidio assistito dal medico. Questa normativa contiene anche le disposizioni relative al testamento biologico. In Spagna le norme sulle dichiarazioni anticipate di volontà sono all’interno di una più ampia legge sui diritti dei pazienti che risale al 2003. Al cittadino maggiorenne è riconosciuto il diritto di manifestare anticipatamente e per iscritto la propria volontà in merito a cure e terapie cui essere sottoposto, nel caso dovesse perdere la capacità di esprimerle personalmente. Può inoltre nominare un suo rappresentante-fiduciario, che funge da interlocutore con i medici per realizzare le sue volontà ed evitare che ci sia accanimento terapeutico.

E tanti altre realtà sono disponibili nel lavoro fatto dall’Ufficio Studi. Possiamo ben dire che l’Europa, il mondo civile ci guardano. Il testo Calabrò si configura come una destrutturazione totale di tutto quello che ha fatto la giurisprudenza fino ad oggi. Stabilire che nutrizione e idratazione non sono terapie, e che pertanto il medico ha la facoltà di disattendere le disposizioni redatte dal cittadino è lo svuotamento – stile legge 40 – di una pratica che a livello giurisprudenziale si era già affermata. Il ddl Calabrò è a tutti gli effetti una controriforma non tanto rispetto a una “riforma” che non c’è mai stata, quanto a quel che prescrive la Costituzione. Si vanifica, inoltre quanto fatto, con l’istituzione nel 2001 di una Commissione proprio sulla definizione di idratazione e nutrizione artificiale, che stabilì che si trattava, a tutti gli effetti, di trattamenti sanitari, e come tali vanno interrotti qualora non apportino miglioramenti dello stato complessivo del paziente, e ne prolunghino le sue sofferenze. Non c’è persona ragionevole che sia favorevole all’accanimento terapeutico; ognuno di noi sa di persone in coma irreversibile, che da anni vegetano in quella terra di nessuno che è la vita-non-vita, legata a un polmone artificiale o a una alimentazione endo-gastrica; tutti noi abbiamo pensato che in quelle condizioni – quelle di Eluana Englaro, per intenderci – avremmo preferito la morte. “I paladini del martirio e della morte”, come li definiva Luca Coscioni, ieri erano contrari al divorzio, all’aborto, alla ricerca sulle cellule staminali; oggi lo sono all’eutanasia, e sono però favorevoli ai nuovi roghi, vittime malati sofferenti senza speranza, purché questo rogo avvenga “nell’intimità delle mura domestiche, lontano dai riflettori, purché il dibattito e il confronto politico non abbiano luogo”. Noi questo dibattito e questo confronto vogliamo che esploda. Un dibattito non ideologico, un dibattito non fuorviante così come invece è stato quello del capogruppo del PdL con tutta una serie di richiami sui “malati scomodi”, di giudici “simili (…) agli spartani che sacrificano(…)i bambini deformi, malati e non utili alla dura società di Sparta”; e ancora, continua il capogruppo del Pdl, “ sono cambiati i metodi di uccisione e di selezione, nella opulenta società occidentale, ma non la sostanza, se i giudici decidono se far vivere o morire un essere umana”.

Ma cosa c’entra tutto questo? Chi sta parlando di disabili gravi? Non è stato forse Luca Coscioni ad occuparsi di più dei disabili gravi e gravissimi? Facendo della sua malattia la più grande battaglia per il diritto all’assistenza personale 24 ore su 24, all’assistenza autogestita con progetti di vita indipendente, anche con gli strumenti tecnologici più avanzati con la scrittura con gli occhi, con la testa, per permettere ai malati e ai disabili di uscire, finché possibile,di uscire dalla prigionia del silenzio? Perché parliamo di disabili gravi? O pensa il collega capogruppo del PdL di essere il solo a pensare che anche l’esistenza di un disabile grave ha il diritto a vivere? Perché mischiamo tali questioni? Qualcuno sta forse proponendo di sopprimere i malati scomodi? Tutto ciò a me non risulta. Semmai risulta una forte disattenzione ai malati. Una carenza di risposta alla solitudine dei tanti Luca Coscioni, Welby, Nuvoli, Ravasin, di coloro che letteralmente “dal corpo del malato” sono arrivati “al cuore della politica”. Vi chiedo rispetto e di non cadere in quella disonestà intellettuale che caratterizza quanti vorrebbero contrapporre un partito della vita a quello della morte. Nessuno vuole imporre nulla a nessuno, nessuno si sogna di imporre ad altri la propria “morale” e valori. Però a quanti si oppongono a una regolamentazione di queste questioni e non riconoscono la facoltà a porre fine ad atroci e inutili sofferenze, e lo fanno in nome “della vita” e della sua sacralità, va chiesto cosa vi sia di misericordioso, in questa situazione; e ognuno di noi si deve chiedere se sia o no più misericordioso interrompere la sofferenza, quando viene chiesto dallo stesso malato.

Bisogna chiedere ragione del sordo opporsi all’introduzione del “testamento biologico, con il quale il cittadino, SE VUOLE, stabilisce preliminarmente quali cure gli devono o non gli devono essere prestate, nel caso in cui si venga a trovare in uno stato di incapacità totale o parziale di intendere e volere, nominando un fiduciario che garantisca delle sue volontà. Luca Coscioni, Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli, Paolo Ravasin e tanti altri malati al momento non noti al pubblico, che della loro sofferenza, del loro dolore, del loro corpo hanno fatto, letteralmente politica, tutto questo hanno disvelato, ed è grazie a loro se queste questioni, che si voleva relegati tra i “problemi di coscienza” sono diventati “cosa” di cui tutta la città parla, e di cui anche la politica deve occuparsi. Grazie a Luca, Piergiorgio, Giovanni, Paolo, il paese ha preso coscienza e conoscenza di una realtà esistente e negata, sommersa e ignorata: quella di migliaia di persone vive, lucide, capaci di amore per la vita e per il diritto. I mille Luca, Piergiorgio e Giovanni che lottano contro malattie crudeli che li hanno aggrediti; e devono patire, in più, l’aggressione crudele di uno Stato, di politici, di leggi e di “morali” che negano loro quel diritto alla libertà che un giorno forse li potrebbe salvare, o comunque aiutare a vivere con dignità e morire con minor sofferenza. C’è un diritto a non soffrire inutilmente, e di questo diritto siamo titolari perché siamo persone libere, e perché lo scopo della terapia medica presuppone la persona; e che dunque abbia a che fare con una persona la cui volontà deve essere rispettata. La battaglia da combattere è, da una parte, quella per la libertà della ricerca scientifica; dall’altra per affermare i diritti umani fondamentali, fra i quali il diritto alla vita, alla salute; a una vita dignitosa fino all’ultimo istante che ciascuno considera degno di essere vissuto, scegliere di vivere senza sentirsi dire da altri; questo o quello non lo puoi fare. L’attuale maggioranza sostiene che occorre scongiurare il ripetersi di nuovi casi come quello di Eluana Englaro. Quello dunque che si vuole scongiurare è dunque il diritto di tutti i cittadini di questo paese a poter predisporre il proprio testamento biologico, compreso il diritto a includere la eventualità della rinuncia all’alimentazione e all’idratazione artificiale.

Quando si dice: “Un caso Englaro non deve essere più possibile”, quello che in realtà si dice, si vuole dire, è il potere di vita e di morte, i nostri corpi, appartengono ad altri, al Vaticano. Ufficialmente, pubblicamente, beninteso; perché poi nella realtà si continuerà nella pratica di sempre, il classico “si fa ma non si dice”. Quello che importa – la posta in gioco – è che un padre, una madre, una moglie o un marito, un figlio o una figlia, un amico o una compagna non possono, non devono, rivendicare apertamente il diritto naturale e costituzionale a fare quello che altri cittadini sono costretti a combinare di nascosto, confidando nella pietà e nella misericordia di un medico, di un’infermiera. Vogliono continuare a detenere il potere sui nostri corpi, perché per loro noi non siamo cittadini, ma sudditi. In questi giorni, con le associazioni “Luca Coscioni”, “A buon diritto”, la “Fondazione Veronesi” e altre organizzazioni e cittadini, si stanno raccogliendo le dichiarazioni anticipate di volontà; si sta lavorando perché nei comuni si istituisca un registro del testamento biologico: per responsabilizzare le amministrazioni pubbliche nella ricezione e validazione gratuita dei biotestamenti; e soprattutto per mandare un messaggio chiaro a chi ha il compito di fare le leggi e specificatamente a chi lavora per confiscare questo diritto di tutti; ci si sta insomma cautelando, nel caso di definitiva approvazione di questa legge proibizionista, realizzando un atto che potrà essere utilizzato per impugnare la legge davanti alla Corte costituzionale. Perché è evidente che se sarà approvata una legge che obbliga forzatamente un cittadino che non può più deglutire e ingerire cibo, a subire un intervento contro la sua volontà che gli inserisce una cannula nello stomaco e a condannarlo a sofferenze atroci invece che ad essere assistito e accompagnato a spegnersi nel modo più sereno possibile; una legge che condanna chi entra in coma a essere ricoverato in ospedale, a essere nutriti e idratati artificialmente, è evidente che una legge simile sarà portata decine, centinaia di volte in tribunale, perché quell’imposizione confligge con i diritti costituzionali del cittadino.

Libertà della persona (uso volutamente questa espressione cara al personalismo cristiano), e diritto di autodeterminazione non valgono a senso unico: sono tali proprio per assicurare la possibilità di consapevoli scelte diverse. Quella dei trattamenti di fine vita è una zona opaca sulla quale non per un caso la maggioranza del Parlamento non vuole compiere alcuna inchiesta, nonostante indagini demoscopiche condotte in forma ovviamente anonima ma con criteri scientifici, documentino come si faccia ricorso a forme di eutanasia clandestina molto più diffuse di quanto si dica e si ammetta, e il tutto avviene in solitudine, tra il disinteresse e il silenzio. Uno Stato che sceglie di imporsi con violenza contro la libertà della persona e il suo diritto di autodeterminazione non costituisce una garanzia per nessuno. La violenza non è mai a senso unico, esattamente come non lo è la libertà di scelta. Termino ricordando a me stessa e a tutti noi quello che disse un indiscutibile credente, papa Giovanni Paolo II nella fase ultima della sua vita, gravemente malato. E per evitare una qualsiasi obiezione circa la fonte, così come è avvenuto nella seduta di ieri, dal sottosegretario Roccella, cito la fonte: gli “Acta Apostolicae Sedis”; si tratta della raccolta ufficiale degli atti della Santa Sede. Nel supplemento del 17 aprile 2005, a pagina 460, si riferisce: “Giovedì 31 marzo (…) Veniva rispettata l’esplicita volontà del Santo Padre di rimanere nella sua abitazione, ove era peraltro assicurata una completa ed efficiente assistenza”. Nella successiva pagina 461 si può poi leggere: “Sabato 2 aprile (…) Verso le ore 15,30, con voce debolissima e parola biascicata, in lingua polacca, il Santo Padre chiedeva “lasciatemi andare alla casa del padre”. Poco prima delle 19 entrava in coma”. Vorrei che la libertà di scelta di Giovanni Paolo II, sia garantita per tanti altri malati. In sostanza: non esiste obbligo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che la scienza offre. Esattamente quello che nel testo Calabrò viene negato. Per questo e per le motivazioni che ho argomentato chiedo di fermarvi. Qualora non riuscissimo a rispondere alle istanze che ci vengono dai cittadini italiani, è preferibile nessuna legge.

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