Sperimentazione, Stamina e la scelta che fece Luca

Dopo il mio intervento su ‘Unità del 30 dicembre “Stamina, fuori la verità” in tanti mi hanno chiesto di spiegare perché la sperimentazione a cui si sottopose Luca Coscioni nel 2002 con cellule mesenchimali, sarebbe diversa dalla richiesta fatta oggi da numerosi malati di potersi sottoporre alla cura con il metodo Stamina. Intanto: la sperimentazione cui si sottopose Luca  era uno «studio pilota finalizzato all’impianto delle cellule staminali mesenchimali di midollo osseo ad uso terapeutico in pazienti pediatrici con tetraplegia congenita ed in pazienti adulti con Sla». Decidemmo di affrontare quella sperimentazione perché era una regolare, ufficiale sperimentazione clinica: un trattamento sperimentale non è una cura compassionevole, piuttosto un tentativo che può essere innocuo, o dare dei risultati o anche andare male, «un confronto continuo tra i benefici attesi e rischi potenziali a essa connessi», come lo stesso Luca ha scritto. Sul «compassionevole» credo sia sufficiente riportare quel che durante il seminario che ho convocato  alla Camera dei deputati il 5 dicembre ha detto il professor Strata:  «(…) significa che è una terapia che ha già delle prospettive, delle basi, di poter essere utile ma ancora non si è dimostrato che è utile, allora possiamo utilizzare questi pazienti consenzienti, provare a dargli questa terapia; questo è compassionevole». 

Una sperimentazione, quella del 2002, che almeno a Luca non portò nulla di buono. Non ci fu delusione perché non c’è stata prima l’illusione. Faceva parte delle regole di chi accetta un trattamento  sperimentale. Luca era persona di scienza, oltre che di coscienza e  infine leader politico grazie alla fiducia che Pannella gli fece.

L’istituzione partecipante era la divisione di Neurochirurgia-Neurologia dell’Ospedale S. Giovanni Bosco di Torino per quanto  riguardava i pazienti adulti con Sla e, coordinata dalla professoressa Letizia Mazzini, la sperimentazione rispondeva a tutti i requisiti di legge, era un processo che rispondeva agli allora requisiti scientifici e legislativi. Non sta quindi a me disquisire sull`efficacia o l’opportunità di sperimentazioni cliniche volte a riparare danni neurologici con cellule staminali mesenchimali.

Quello che non mi convince del caso Stamina è che si persegue la strada che si è percorsa per le «sperimentazioni» cosiddette non ufficiali, che si sono imposte all`attenzione pubblica su basi fiduciarie  di malati e loro famiglie e non su basi scientifiche. Si arriva a un punto in cui si pretende il diritto al «farmaco», ritenuto miracoloso e comunque tale di fronte all’inefficacia dei farmaci riconosciuti, saltando la fase della sperimentazione vera e propria, o chiedendone il suo riconoscimento a spese dello Stato anche in deroga alle leggi che la disciplinano.

Dal siero Bonifacio alla cura Di Bella lo schema di gioco si è ripetuto  sino alla cura Stamina. Per chiarezza lo ribadisco: non tutte le sperimentazioni a regola d’arte, legge e scienza hanno un approdo positivo. Sarà un caso ma certamente né il siero Bonifacio né la cura Di Bella hanno curato il cancro. Per quel che riguarda Stamina, non si tratta di amare od odiare le cellule staminali mesenchimali ma di pretendere che siano la «regola d’arte», la legge e la scienza a sovraintendere alle sperimentazioni scientifiche e che questo valga per tutti.

Per appurare se «l`intuizione» è valida deve essere pubblica. Non si capisce dunque come abbia potuto il dottor Cornelio Coppini, direttore generale e legale rappresentante degli Spedali civili di Brescia sottoscrivere il 28 settembre 2011, protocollo 0047413, l’«accordo di collaborazione» con il presidente e legale rappresentante di Stamina Foundation Onlus, professor Vannoni. Un accordo che si basa sul fatto che «gli operatori di Stamina impiegano metodiche coperte da (…) brevetti, nonché tutto il know-how comunque presupposto, correlato e conseguente alle dette metodiche, così come dato in concessione a Stamina dal prof. Vannoni. (…) Oltre ai brevetti (che non esistono ndr) ed al sotteso know-how viene altresì riconosciuta l’esclusiva titolarità e responsabilità in capo a Stamina ed al prof. Davide Vannoni delle seguenti tecniche e metodiche: a) modalità e sito del prelievo (da stroma osseo); b) modalità di estrazione e selezione delle cellule stromali da tale campione bioptico; c) modalità  di coltivazione (composizione dei terreni di coltura, frequenza di cambi di terreno); d) modalità di criopreservazione delle cellule coltivate; e) modalità per la differenziazione nella linea neuronale; 1) quantità di cellule e modalità di preparazione dell`iniettabile.”

Riportare integralmente questo passaggio tecnico è necessario  perché emerge che il professor Vannoni non solo non può ma non è nemmeno in grado di assumersi la responsabilità di queste tecniche. È a dir poco singolare che il Ssn non abbia regole per evitare che «chiunque» possa essere considerato in condizioni di assumersi la responsabilità delle metodiche descritte.

Prima di decidere con Luca di andare a Torino cercammo di capire in cosa consistesse la sperimentazione e poi chi ne fosse il  responsabile. Ci affidammo consapevolmente nelle mani della neurologa Letizia Mazzini. Avremmo potuto anche farci leggere la mano dal professor Vannoni, non certo per una sperimentazione scientifica, nonostante la disperazione di malati e familiari, vittime delle malattie neurodegenerative. Disperazione con la quale bisogna fare i conti e della quale è gravissimo abusare.

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