Sperimentazione animale, Italia messa in mora da Bruxelles
L’Italia ha normative troppo stringenti sulla sperimentazione animale. Lo dice Bruxelles che ha avviato una nuova procedura di infrazione contro l’Italia. Roma è stata infatti messa in mora, il primo stadio della procedura di infrazione, perché la legge italiana, in particolare il decreto legislativo 26/2014, pone delle limitazioni eccessive all’utilizzo degli animali per scopi scientifici, rispetto a quanto viene consentito dalla direttiva 2010/63/Eu.
Le limitazioni, molto stringenti, sono state segnalate più volte alla Commissione dagli enti di ricerca italiani, che, a causa delle restrizioni della legge, sono penalizzati rispetto agli enti di ricerca basati in altri Stati membri, dove i limiti alla sperimentazione sugli animali sono più ampi.
Nel Dlgs italiano ci sono infatti paletti aggiuntivi per i ricercatori: tra questi, il divieto di xenotrapianti, cioè il trapianto tra organi di specie diverse, e di test sulle sostanze d’abuso, il divieto di esperimenti e procedure che non prevedono anestesia o analgesia e di quelli condotti su cani, gatti e primati non umani e l’orientamento della ricerca all’impiego di metodi alternativi. Paletti che secondo numerosi rappresentanti del mondo scientifico avrebbero avuto la capacità di bloccare gran parte degli studi di biomedicina e farmacologia.
Per le ricerche su xenotrapianti e sostanze d’abuso, il Dlgs prevede una moratoria fino al primo gennaio 2017, condizionata a un monitoraggio che gli istituti zooprofilattici di Lombardia ed Emilia Romagna dovranno effettuare entro il 30 giugno 2016 «sulla effettiva disponibilità di metodi alternativi». Dunque un divieto basato su un punto interrogativo.
La politica finora ha evitato di risolvere la questione, che suscita reazioni forti in larga parte dell’opinione pubblica, ma ora sarà costretta a farlo, se vuole evitare sanzioni.
Per risolvere la procedura ora sarà necessario rendere pienamente conforme l’ambito di applicazione della legge italiana con quanto previsto dalla direttiva Ue. La procedura di infrazione è regolata dall’articolo 258 del trattato sul funzionamento dell’Ue, che conferisce alla Commissione, custode dei trattati, il potere di agire in giudizio contro lo Stato membro che non rispetti gli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione.
Positivi i commenti della presidente della Commissione Sanità del Senato, Emilia Grazia De Biasi, che proprio ieri agli Stati generali della ricerca sanitaria ha denunciato questo «vulnus» della normativa italiana. «Non posso che esprimere la speranza che l’Italia si adegui finalmente alle regole europee – sottolinea la senatrice – poiché la moratoria in atto non ha riscontro in nessun paese d’Europa. Mi auguro che la risposta alla procedura di infrazione della Ue arrivi rapidamente e così riconosca il giusto ruolo alla ricerca e ai ricercatori italiani fin troppo penalizzati da regole che non hanno più senso». Si tratta, puntualizza la senatrice, di «un tema centrale per l’Italia come ho avuto modo di dire più volte e di rimarcare anche ieri agli Stati generali della Ricerca». Insomma, conclude De Biasi, «i nuovi cospicui finanziamenti previsti e nuove regole sono una grande occasione per il Paese, per la ricerca e, in particolare quella biomedica, per riallacciare il rapporto fra istituzioni, scienza e innovazione».
Senatrice e farmacologa Elena Cattaneo: «Un’opportunità per il Paese»
Per il mondo della scienza si tratta di una grande chance per invertire la rotta. «La notizia della messa in mora dell’Italia da parte della Commissione europea rispetto al decreto legislativo 26/2014 – spiega la senatrice a vita e farmacologa Elena Cattaneo – è una opportunità per il Paese, Governo e Parlamento in primis, perché si riporti a razionalità la disciplina della sperimentazione animale in Italia».
Da tempo gli scienziati si battono per l’abolizione dei paletti e attendevano da tempo che la Commissione europea battesse un colpo. «Che vi fossero limiti impropri nella legge approvata – afferma la scienziata in una nota – era tanto palese che già la Commissione Sanità del Senato chiedeva al Governo di valutare attentamente – prima di emanare quel decreto legislativo – se i divieti previsti fossero conformi all’articolo 2 della direttiva e, quindi, agli articoli 76 e 117, comma primo della Costituzione, dal momento che sembravano costituire normative più restrittive rispetto alla direttiva, introdotte successivamente alla data del 9 novembre 2010». Per la senatrice Cattaneo, «quel che la Commissione Sanità esprimeva con formula dubitativa è di una evidenza solare, tanto da essere stato segnalato – spiega – alla Commissione europea da decine di scienziati e cittadini, iniziative che hanno portato alla scelta doverosa di oggi dell’Unione europea. Per scongiurare sul nascere ogni ipotesi di ulteriore condanna dell’Italia in sede europea, il Parlamento italiano ha l’opportunità, nella Legge europea 2015 in discussione, strumento legislativo annuale salva-infrazioni, di approvare un emendamento che elimini i divieti illegittimi contestati. È doveroso farlo prima ancora che per ragioni legali, per consentire ai ricercatori italiani – sottolinea – di competere con pari possibilità e dignità con i colleghi europei. Ed è doveroso farlo per una libera ricerca che studia ogni giorno per dare nuove opportunità di cura e conoscenza».
Silvio Garattini (Irccs Mario Negri): «La legge va cambiata al più presto perché ci penalizza»
Anche per Silvio Garattini, direttore dell’Irccs Istituto farmacologico Mario Negri di Milano, la legge italiana che impone alla sperimentazione animale paletti troppo severi «va cambiata al più presto, perché come abbiamo spiegato più volte fa male alla nostra ricerca. Ci mette in una condizione di difficoltà a collaborare con gruppi stranieri e a presentare domande per ottenere fondi, impedendoci quindi di essere competitivi con gli altri Paesi».
«È successo quello che noi scienziati avevamo previsto. L’articolo 2 della direttiva europea in materia – afferma Garattini – dice che le legislazioni dei Paesi membri non possono essere più restrittive rispetto alla direttiva stessa, invece la normativa italiana lo è». La direttiva 2010/63/Eu «vuole infatti fare in modo che nei vari Paesi vi sia pari opportunità di ricerca», mentre per il farmacologo il decreto legislativo 26/2014 varato dall’Italia va nella direzione opposta. «Si parla tanto di ricerca, di volerla promuovere e potenziare – incalza Garattini – ma poi si mettono mille barriere come questa, che di fatto rappresentano un ostacolo alla nostra competitività a livello internazionale». «In passato abbiamo più volte segnalato al ministero della Salute la necessità di apportare opportune correzioni alla legge italiana», ricorda Garattini che con il Gruppo 2003 è sempre stato in prima linea in questa battaglia. «Ora torniamo a chiederlo: non possiamo che sperare vivamente che la legge venga cambiata al più presto, così da riprendere subito un cammino scientifico il più possibile in armonia con gli altri Paesi». Fra l’altro, conclude lo scienziato, «mi sembrerebbe molto strano se con le difficoltà economiche che abbiamo ci dovessimo trovare anche a pagare infrazioni».
Istituto Luca Coscioni: «logico epilogo di un percorso animato da un ambientalismo demagogico»
«Non sorprende e lo si dice con amarezza – spiega Maria Antonietta Farina Coscioni, presidente dell’Istituto Luca Coscioni – che la Commissione europea abbia avviato una procedura d’infrazione (ora certa) nei confronti dell’Italia per quel che attiene le eccessive limitazioni alla ricerca scientifica frapposte da una irragionevole legge con assurdi divieti nel campo della sperimentazione animale. È il logico epilogo di un percorso caratterizzato e animato da un ambientalismo demagogico che ha condizionato e condiziona il legislatore italiano. Si sono varate leggi e normative sull’ondata di intimidatorie e falsificanti campagne di stampa; si fa ricorso a terminologie fuorvianti (in Italia la vivisezione è vietata, e tuttavia i ricercatori sono accusati di praticarla); non si dà alcun ascolto e credito alla comunità scientifica, cosicchè i nostri scienziati e ricercatori spesso sono costretti a “emigrare” per poter fare il loro lavoro. Ora la parola spetta al Governo, al Parlamento. E non faremo mancare, come “Istituto Luca Coscioni” il nostro sostegno e apporto per una responsabile libertà di ricerca».
Animalisti sul piede di guerra
Sul piede di guerra le asssociazini animaliste, Lav in testa. «Supporteremo il Governo italiano – spiega il presidente Gianluca Felicetti – nella difesa del decreto legislativo 26/2014, contestato perché più restrittivo rispetto alla Direttiva europea».
«Se l’Ue avesse voluto una normativa identica in tutti i Paesi, avrebbe avuto dovuto emanare un Regolamento – sottolinea Felicetti – Invece in questo caso si tratta di una direttiva che, quindi, dà modo a ogni Stato membro di poter essere più restrittivo, anche in ossequio al art.13 del Trattato di Lisbona che ha inserito la tutela degli animali come esseri senzienti».
L’Italia aveva già fissato, nella precedente legge, delle restrizioni relative alla sperimentazione animale e le ha previste anche in questo decreto legislativo. In particolare: divieto di allevare cani, gatti e primati a fine di sperimentazione; limitazioni che riguardano l’utilizzo di animali per sperimentare alcol, droghe e tabacco; impossibilità di riutilizzare un animale già usato per sperimentazioni gravi; divieto di fare ricorso, per la sperimentazione, a cani e gatti randagi. Quest’ultimo aspetto «è stato rilevato dalla Commissione come una delle difformità (per noi in positivo) della legge italiana rispetto alla direttiva Ue che invece, scandalosamente, prevede invece la possibilità di questo utilizzo, a cui l’Italia ha detto `no´ dal 1992», aggiunge Felicetti. «Noi – sottolinea il presidente della Lav – forniremo al ministro Lorenzin la memoria giuridica che abbiamo preparato con il contributo di docenti di diritto europeo di diverse università italiane, convinti che il Governo voglia difendere il provvedimento in ogni maniera a Bruxelles e che il nostro ministro della Salute non voglia essere ricordato come il ministro che si è piegato a una comunicazione di messa in mora», che peraltro questa volta non giunge «per violazioni in negativo o ritardi, ma per una normativa approvata dalla larga maggioranza del Parlamento e varata da questo Governo».
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