Orrore in cella, diritti sospesi: appello al Quirinale
La famiglia, alla quale è stato impedito di vedere il ragazzo, ne ha scoperto all’obitorio il corpo martoriato dalle percosse subite. «Fino all’ultima goccia di sangue, fino all’ultima goccia di vita io e mia moglie ci batteremo perché si faccia chiarezza su mio figlio», giura Giovanni Cucchi, padre di Stefano, in un’intervista sul blog di Beppe Grillo.
I familiari non si danno pace, vogliono capire come mai sia morto in carcere dopo l’arresto dei carabinieri: vogliono una spiegazione a quelle fratture alla spina dorsale, al coccige, alla mandibola, a quei lividi sul volto e su tutto il corpo. Per questo hanno deciso di divulgare le foto, mostrando il corpo dopo l’autopsia. «Vogliamo capire che cosa è successo», chiede una madre, che dopo aver visto il figlio uscire di casa in buone condizioni di salute, si è vista riconsegnare un corpo irriconoscibile, coperto di lividi ed ecchimosi, il volto sfigurato dai violentissimi traumi subiti.
La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta per “omicidio preterintenzionale” (reclusione da 10 a 18 anni), al momento a carico di ignoti. Il pm Vincenzo Barba sta indagando per capire se il ragazzo 31enne sia stato effettivamente vittima di un pestaggio. Nell’attesa delle conclusioni della consulenza del medico legale, il magistrato proseguirà le audizioni. Altro tassello di un’inchiesta avviata di iniziativa dalla Procura, nonostante l’assenza di una denuncia e un primo certificato di morte che attestava come questa fosse avvenuta per “presunta morte naturale”.
La decisione del pm Barba, tuttavia, non è piaciuta al legale della famiglia Cucchi: «Si procede a carico di ignoti, ma credo che coloro che l’hanno avuto in custodia o in cura non sono ignoti. Mi aspetto indagati, mi aspetto che queste persone vengano a dare una spiegazione». Alla richiesta si associa la madre di Federico Aldrovandi, il giovane di Ferrara ucciso nel 2005 dalla violenza di una pattuglia della polizia: gli agenti, condannati in primo grado per “eccesso colposo”, non sconteranno la pena grazie all’indulto del 2006.
Durissima la reazione degli avvocati penalisti di Roma: «Non può essere consentito, non può semplicemente accadere, che Stefano abbia potuto subire una fine così orrenda, mentre era sotto la tutela prima della polizia giudiziaria che lo ha tratto in arresto, poi del pm, del giudice, poi ancora della direzione di Regina Coeli e del suo personale penitenziario e dei medici ed, infine, dell’ospedale. Siamo indignati».
Il caso Cucchi continua a sollevare indignazione e polemiche. «Non ho strumenti per dire come sono andate le cose, ma sono certo del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione», ha detto il ministro della difesa Ignazio La Russa. Parole che indispettiscono il segretario del sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Donato Capece: «Il ministro ha perso una buona occasione per tacere. Ha detto che non ha elementi per dire come andarono i fatti però sostiene che l’intervento dei carabinieri è stato corretto. Su quale basi lo dice? Chi sarebbe stato scorretto, allora?».
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, cui hanno rivolto immediate interrogazioni i parlamentari Felice Casson del Pd e le radicali Rita Bernardini e Maria Antonietta Farina Coscioni, ha telefonato al procuratore della Repubblica di Roma Giovanni Ferrara per dare «pieno sostegno alle indagini» e raccomandare «celerità nell’accertamento della verità e dei colpevoli», esprimendo «vicinanza alla famiglia Cucchi». Alfano ribadisce «fiducia nell’operato della polizia penitenziaria» e auspica che la verità venga accertata in fretta.
Mentre la fondazione “Farefuturo” creata da Gianfranco Fini prende posizione chiedendo che si cancelli qualsiasi forma di «omertà tribale» affermando la verità dei fatti e lo Stato di diritto, il leader Pd Pier Luigi Bersani invoca «una parola chiara», perché «è sconvolgente quanto emerge», tenendo conto che anche secondo il Pdl l’accertamento dei fatti «è interesse di tutti». Antonio Di Pietro chiede giustizia: «I segni della violenza sono ben visibili: se qualcuno ha usato la mano dura deve uscire fuori, non ci possono essere coperture, altrimenti ne verrebbe a soffrire la credibilità delle istituzioni».
Per il sociologo Luigi Manconi, attivo nel campo dei diritti dei detenuti, «si tratta di un’indagine che visti i particolari e i testimoni è di facile soluzione, sempre che si voglia risolvere. La nuova legislazione antidroga – dichiara Manconi al “Corriere della Sera” – sta portando le forze dell’ordine a forzature, abusi, arresti immotivati, operazioni fuori dalle regole, carcerazioni senza convalida. E di solito a subire sono o i consumatori o i piccoli spacciatori. Gli anelli deboli della catena. Come Stefano».
La morte di Cucchi, sottolinea il “Corriere”, riporta alla ribalta il tema dei diritti dei detenuti. Questione che vede impegnato da anni il gruppo Antigone: il sesto rapporto redatto dall’associazione, “Oltre il tollerabile”, conta una serie di violenze, torture e suicidi segnalati negli istituti penitenziari italiani e di procedimenti nei confronti di personale operante nelle strutture penitenziarie. Violenze, pestaggi, minacce, maltrattamenti, spedizioni punitive nelle celle. Un “dossier della vergogna” che ora l’uccisione di Stefano Cucchi porta alla luce.
Per il quotidiano “La Stampa”, siamo di fronte a una vera e propria strage: una “Spoon River” delle carceri. «Da gennaio al 30 ottobre – scrive il quotidiano diretto da Mario Calabresi – nelle carceri italiane sono morti 146 detenuti, di cui 59 per suicidio». I dati sono quelli del centro studi di “Ristretti Orizzonti”. I suicidi, spiega il giornale, riguardano prevalentemente i detenuti più giovani: i 10 “morti di carcere” più giovani del 2009 sono tutti suicidi e due di loro avevano solo 19 anni.
Le morti per “cause da accertare”, rileva “La Stampa”, sono più numerose di quelle per “malattia”. I dati complessivi del 2009 denunciano un aumento di ben 20 suicidi rispetto ai primi 10 mesi del 2008, mentre il totale delle morti “di carcere” hanno già superato il totale dello scorso anno: 146 contro 142. In dieci anni, secondo i dati di “Ristretti Orizzonti”, nelle carceri italiane sono morti più di 1.500 detenuti, oltre un terzo dei quali per suicidio: i suicidi sono stati, nell’arco di 10 anni, 543 a fronte di 1.529 morti in totale.
Fonte: LIBRE
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