Diritto all’aborto, diritto all’obiezione di coscienza: come se ne esce?
Per capirne di più ne abbiamo discusso con la bioeticista Chiara Lalli, autrice del libro C’è chi dice no. Dalla Leva all’aborto, come cambia l’obiezione di coscienza (Saggiatore). «La contraddizione sta nel fatto che c’è una legge che stabilisce la garanzia di un servizio eppure ammette a certe condizioni un’esenzione», spiega l’autrice. Che dà subito qualche numero, per dare un’idea della gravità del problema: «La media nazionale dei ginecologi obiettori è di circa il 70%, con punte del 90% in alcune regioni. È facile intuire che un servizio che grava sul restante personale è rischio. L’effettiva garanzia dipende poi da altre variabili: se a Milano ci sono 10 ospedali, a Sondrio o como ce n’è uno solo. Rispettivamente, 16 ginecologi su 19 sono obiettori. Ma non sempre è facile spostarsi». Ancora più difficile è il caso di chi è costretto ad un’interruzione tardiva, come racconta Chiara Lalli sul suo blog, attraverso la triste storia di Margherita.
Ma perché i medici praticano sempre più l’obiezione, pur essendo la società molto più laica?
«Le ragioni sono varie. Dal convincimento che l’interruzione di gravidanza sia moralmente inammissibile a scelte più di comodo, magari per ragioni di carriera. Ad ogni modo il fatto che oggi il carico emotivo e pratico del servizi pesi su un numero ristretto di medici spinge molti all’obiezione per esasperazione».
La contraddizione che crea sofferenza alle donne, come ad alcuni medici, nasce dalla legge. L’autrice ci spiga che la 194 afferma che il servizio deve essere garantito. Le case di cura, cioè, sono tenute ad effettuare le interruzioni e la regione dovrebbe controllare l’attuazione. Gli obiettori sono esonerati dall’interruzione vera e propria, non dall’assistenza prima e dopo. Il problema, però, è che la legge non fissa un tetto massimo di obiettori, «per cui la domanda rimane in piedi: come faremmo se i medici fossero obiettori?».
Interessante sapere dalla bioeticista che i medici possono fare obiezione per le tecniche di riproduzione, per la sperimentazione animale, mentre i farmacisti non possono, a riguardo ad esempio della pillola del giorno dopo, che tra l’altro è un farmaco contraccettivo.
Oggi si discute di obiezione anche a Montecitorio, dove si scontrano due visioni contrapposte: quella di Luca Volonté, Giuseppe Fioroni, Eugenia Roccella, Alfredo Mantovano, Paola Binetti e Rocco Buttiglione, che sostengono la mozione che impegna il governo a dare piena attuazione all’obiezione di coscienza in campo “medico e paramedico”. E quella presentata da Maria Antonietta Farina Coscioni che punta soprattutto a «garantire il diritto di ogni individuo di ricevere dallo Stato le cure mediche ed i trattamenti sanitari legali». Chiediamo a Chiara Lalli qual è il senso della battaglia legislativa sull’obiezione: «Attaccare direttamente la 194 è impopolare. Così, la si prende alla larga: con marce, documenti, aggressioni meno visibili. Ad esempio, rafforzare l’obiezione di coscienza è un modo per svuotare la legge nella sostanza. Ma non esiste alcuna alternativa che non sia ripugnante alla garanzia di un aborto legale, sicuro».
E, aggiungiamo, soprattutto rapido. Chi ha preso la difficile decisione di abortire non può aspettare settimane mente l’embrione cresce. Con tutta l’ansia e il dolore che ne consegue.
(foto apertyura: Frida Kahlo, Henry Ford Hospital, 1932)
Articolo di Elisabetta Ambrosi in sexandthestress.vanityfair.it
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