Addio a Mario Monicelli con rissa a Montecitorio Udc e Pdl in trincea contro l’affondo dei radicali

Roma – Un volo giù dal balcone, un gesto secco, rapido e definitivo come per non lasciare strascichi o recriminazioni. Ma la scelta estrema del grande Mario Monicelli invece provoca esattamente l’effetto contrario perché in molti cercano di impossessarsene, convinti di conoscere più e meglio degli altri il perché di quel volo. Soprattutto allo scopo di accreditare quel gesto a sostegno delle proprie convinzioni.

Nell’aula di Montecitorio è Walter Veltroni a dare il «la» alla polemica. Nel ricordare la figura del regista e la sua carriera dice che Monicelli è stato «un uomo coerente e che anche l’ultimo atto della sua vita gli assomiglia. Ha vissuto, non si è lasciato vivere e non si è lasciato morire». Parole che faranno dire a Massimo Polledri della Lega Nord che da Veltroni è giunta «una inopportuna lode al suicidio». Ma è la radicale Rita Bernardini ad aprire ufficialmente il dibattito in aula. Il suicidio di Monicelli, dice, deve diventare un’occasione per riflettere «su come alcune persone che non ce la fanno veramente più sono costrette a lasciare la vita anziché poter morire magari con i propri cari accanto con il metodo della “dolce morte”».

Interviene pure Fabio Evangelisti, Idv. Monicelli, dice: «Non ha accettato l’idea di un destino superiore, che decidesse per lui il momento di uscire dalla scena». A questo punto scatta Paola Binetti, oggi nell’Udc e uscita dal partito democratico proprio per incompatibilità sui temi etici, dalla riproduzione assistita a quello del fine vita. La Binetti traccia un ritratto opposto del regista: un uomo, dice «solo e depresso» sprofondato in uno «smarrimento esistenziale» del quale nessuno si era reso conto. «Non si può approfittare della disperazione di un uomo che aveva tra l’altro come stigma della sua vita il suicidio di suo padre – attacca la Binetti – Non si può trattare di questo per fare uno spot che sia pro eutanasia». La Binetti si accalora e sbotta: «Finiamola, finiamola: questi sono uomini disperati, non è un gesto di libertà».

Pure Enrico La Loggia del Pdl si indigna per «l’elegia del suicidio» fatta dalla Bernardini. Non si può, dice La Loggia, «strumentalizzare un gesto disperato e farlo diventare quasi l’indicazione di un esempio da seguire». La Loggia invita a interrogarsi sulla situazione di emarginazione nella quale persino un uomo famoso e circondato da tante persone come Monicelli può cadere se vecchio e malato.
Ci si trova, prosegue La Loggia, «senza familiari, senza speranza» e proprio su questo aggiunge ci si deve interrogare, concludendo con un’esortazione: «Mai, mai, mai il suicidio ma sempre la speranza».

E mentre in aula si consuma lo scontro sul senso della morte di Monicelli nella Casa del cinema a Villa Borghese, dove è stata allestita la camera ardente, in tanti rendono omaggio al regista. Tra questi il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Anche il capo dello Stato legge il gesto del regista come «un’ultima manifestazione della sua forte personalità, un estremo scatto di volontà che bisogna rispettare». Parole che non a caso vengono apprezzate dalla radicale Maria Antonietta Farina Coscioni. «Credo che Napolitano abbia colto l’essenza della questione – dice la Coscioni – bisogna rispettare l’estremo scatto della volontà di Monicelli e andrebbero rispettati la volontà della persona, del malato che ha il diritto di essere informato e di poter decidere del suo destino».

La Coscioni (vedova di Luca e presidente dell’associazione che porta il nome del malato di sclerosi laterale amiotrofica che si è battuto in vita per la libertà di ricerca) è convinta che sia tempo «di infrangere questi tabù ipocriti» affinché chiunque possa essere messo nelle condizioni di mettere fine «senza dolore e sofferenza alla propria vita quando abbia perso dignità ed interesse».

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