Michela Brambilla e i “lager” della vivisezione

Prosegue il dibattito aperto sulle questioni relative alla libertà di ricerca scientifica e di sperimentazione anche animale avviato il 6 febbraio scorso con gli interventi di Maria Antonietta Farina Coscioni (“Il rischio di essere vittime di un fondamentalismo venato di verde”) e di Elisabetta Zamparutti (“Per un nuovo modo di concepire la ricerca scientifica”); e poi proseguito con gli interventi di Francesco Pullia (“Vivisezione, un dogma fatiscente”, 7 febbraio); Emanuele Rigitano (“La ricerca scientifica può fare a meno degli animali?”,10 febbraio); Maria Antonietta Farina Coscioni (“Libertà di ricerca scienfica. Battaglia da vincere in nome di Luca”, 20 febbraio); ancora: Maria Antonietta Farina Coscioni (“Caso Harlan. Sì alla libertà di ricerca scientifica. No ai polveroni, alle strumentalizzazioni e alle demagogie”, 27 febbraio); Luca Pardi (“Dal corpo dei malati al fondamentalismo tecno-scientista”, 29 febbraio); Francesco Pullia (“Nostalgia di Adele”, 29 febbraio); Piergiorgio Strata (“Vivisezione, sperimentazione animale e gli spettri del passato”, 1 marzo). Il dibattito prosegue oggi con un altro intervento di Maria Antonietta Farina Coscioni.

La questione è tremendamente seria, e non dovrebbe essere oggetto di speculazioni per accattare consenso a buon mercato. Mi riferisco all’impagabile ex ministro del Turismo

Michela Vittoria Brambilla, a capo di una struttura che avrebbe dovuto rilanciare l’immagine
del Paese nel mondo, e che ha ottenuto risultati a dir poco modesti, a fronte del fiume di denaro speso. Passa per la Santa protettrice degli animali, vessillifera di iniziative che non a caso i giornali della destra cantano e lodano. Così, a supporto dell’iniziativa «per fermare il carico di novecento scimmie destinate alla sperimentazione scientifica alla ditta Harlan di Correzzano», “il Giornale” titola: «Ecco gli orrori che ho visto nei lager della vivisezione… testimonianza choc»; è quella di un veterinario che solo in fondo all’articolo ammette di non aver mai messo piede alla Harlan; la sua esperienza risale a venticinque anni fa.

Peccato che la vivisezione non c’entri nulla con la sperimentazione e la ricerca scientifica; che i Nas, subito inviati dal ministro della Salute Renato Balduzzi, abbiano accertato che nulla di illegale si è fatto e si fa.

Occorre essere estremamente chiari e precisi, a costo di essere impopolari. Ho fondato con Luca Coscioni la “Associazione per la libertà di ricerca scientifica” che porta il suo nome e che lo ha visto lottare in prima linea. Sono stata sua compagna e moglie. Un’associazione che ha letteralmente imposto all’agenda politica temi sconosciuti, ben riassunti nello slogan che è un programma politico: «Dal corpo del malato al cuore della politica».

In questi giorni si sta facendo una gran confusione, un indecente polverone, equiparando sperimentazione scientifica e vivisezione; e si accredita l’immagine di scienziati e ricercatori emuli dei medici pazzi hitleriani. Stiamo parlando di persone come Elena Cattaneo, Gilberto Corbellini, Giulio Cossu, Piergiorgio Strata… Persone che dovrebbero costituire l’orgoglio di questo Paese, per quello che riescono a fare con gli scarsi mezzi a disposizione, e che tutti i giorni combattono una battaglia contro fanatismo e dogmatismo oscurantista.

Nei confronti della scienza in questo Paese si ha un comportamento schizofrenico: la scienza è buona quando cura le malattie; ma al contrario diventa perversa quando, per esempio, compie esperimenti sugli animali, e nonostante tutte le garanzie e le tutele che la legge nazionale ed europea prevede e prescrive. In questo Paese la libertà di ricerca e la sperimentazione vengono ostacolate in ogni modo, boicottando la ricerca di base che ancora oggi fornisce molte, utili informazioni sui meccanismi fisio-patologici dell’organismo umano e animale e favorisce la realizzazione e la messa a punto di nuove tecniche terapeutiche. Mi chiedo se siamo consapevoli che tutto ciò che viene applicato sull’uomo è stato prima testato sugli animali: ì farmaci, ma anche i biomateriali, le protesi, i mezzi di contrasto, i conservanti, i coloranti.

Per undici anni Luca ha lottato contro la SLA, che alla fine, a soli 38 anni, lo ha ucciso; con la sua lotta ha trasformato in dato politico e iniziativa la sua malattia. Per Luca il tempo è “scaduto” prima che la scienza potesse compiere il “miracolo” della guarigione. Ma quanti sono i Luca in attesa? Credo che il modo migliore per corrispondere a queste attese, sia quello di continuare ad aiutare la conoscenza, la ricerca scientifica rimuovendo gli ostacoli frapposti per ignoranza o fanatismo ideologico.

Dico questo anche in ricordo del premio Nobel Renato Dulbecco, scomparso lo stesso giorno,
sei anni dopo Luca e che in tante occasioni è stato al nostro fianco.

* da “Left”

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