Malati di Sla in sciopero della fame per una “degna assistenza domiciliare”

ROMA – In sciopero della fame per chiedere “una degna assistenza domiciliare” per tutte le persone in Italia che soffrono di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Continua la protesta di Salvatore Usala e Giorgio Pinna, entrambi malati di Sla, iniziata mercoledì 4 novembre e annunciata con una lettera aperta al sottosegretario alla Salute Ferruccio Fazio pubblicata sul sito dell’associazione “Viva la vita”. Entrambi sardi e determinati ad andare avanti “finché il governo non risponderà”, in queste ore Pinna e Usala stanno ricevendo diversi messaggi di solidarietà, l’ultimo in ordine di tempo quello di Maria Antonietta Farina Coscioni. Ma mentre la protesta si allarga su tutto il territorio nazionale, con l’adesione di altri malati come Mauro Serra e Claudio Sabelli, dal Governo non è ancora arrivata nessuna risposta.
“Lottiamo soprattutto per i diritti negati a tanti altri malati. Per esempio, chi ha la Sla e vive in Sicilia oppure in Lombardia è praticamente abbandonato dallo Stato. Noi in Sardegna siamo più fortunati, ma mica più di tanto”, scrive Usala, sottolineando che la loro è prima di tutto una battaglia per i diritti di tutti: entrambi hanno, infatti, una buona assistenza domiciliare che consente alle loro famiglie di avere un minimo di respiro. Ma la gran parte delle famiglie italiane è senza aiuti e abbandonata dalle istituzioni.”Ho trascorsi i primi anni di SLA a rendere meno problematica la vita a tutti quelli che mi ruotavano intorno: gli impegni a scuola erano tanti, la vita sindacale, la mia famiglia. Volevo essere sereno. Dopo è arrivata la fase di impossibilità fisica, la nutrizione artificiale, la tracheostomia per continuare a respirare. Seppur completamente immobile ho preteso di mantenere tanti bei propositi, la voglia di fare; poi però ho assistito impotente alle morti sofferte per abbandono di tanti amici con la Sla e mia moglie accanto a me sempre con il suo immancabile sorriso, ma sempre più stanca. Quanto potrò andare avanti? Quanto la SLA mi consentirà questa pur misera ma ancora attiva vita”.

Nella lettera Usala propone quindi a Fazio un progetto di integrazione socio-sanitaria dettagliato, per una presa in carico del malato di Sla a domicilio, comprensivo di tabelle, costi comparati e schema di un corso di formazione per badanti, che attinge ai progetti regionali già esistenti nel Lazio e in Sardegna. Un tipo di assistenza che “consentirebbe una più oculata gestione delle risorse e darebbe un aiuto concreto alle famiglie”.
“La mancanza di assistenza ai malati di SLA colpisce tutto il nostro Paese, indistintamente da nord a sud, e getta le famiglie nella più totale disperazione”, ha aggiunto Mauro Pichezzi, presidente dell’associazione Viva la Vita Onlus. “L’apporto dei servizi sanitari, e soprattutto di quelli sociali di aiuto alla persona, è pressoché assente e costringe le famiglie a turni massacranti di assistenza continuativa 7 giorni su 7, tutto l’anno e per anni e anni. Intere famiglie pagano un costo sociale altissimo, siamo di fronte ad una vera e propria emergenza sociale. Nel Lazio-continua Pichezzi- i malati in fase avanzata come Giorgio e Salvatore in respirazione meccanica già godono di una buona copertura assistenziale sanitaria che arriva anche a 12 ore di infermieri al giorno, con costi medi che si aggirano a 150mila euro all’anno a persona. Con una reale presa in carico anche da parte dei servizi sociali, e con un badantato formato a disposizione delle famiglie, le risorse a disposizione potrebbero essere gestite in modo più oculato con maggiore soddisfazione anche da parte delle famiglie. Purtroppo nel resto del Paese, l’assistenza è completamente demandata alle famiglie. Con il ripristino dei Fondi per la non autosufficienza, si richiede urgentemente al Ministero di destinarne una quota parte alle famiglie colpite dalla Sla per garantire loro un’assistenza sociale. Ciò si può tradurre in un assegno mensile alla persona modulabile a seconda dello stadio della malattia, affinché le famiglie possano assumere un assistente familiare debitamente formato.”

“Vale la pena di lottare per le cose senza le quali non ha senso vivere. Chi ha la Sla e chi lo assiste sa cosa manca, io come malato posso farmene una ragione e cerco di sopravvivere nella speranza di una cura, ma mia moglie deve poter vivere, deve avere una libertà. Questa è la cosa che voglio senza la quale non ha senso vivere”, continua Usala, sottolineando che la protesta “questa volta non è per morire ma per continuare a vivere, ma ad una sola condizione: dignitosamente”. (ec)

fonte: SuperAbile

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