Democrazia, staminali e divani


“Come potete acquistare o vendere il cielo, il calore della terra? L’idea ci sembra strana. Se noi non possediamo la freschezza dell’aria, lo scintillio dell’acqua sotto il sole come è che voi potete acquistarli?”

Questa lettera è molto citata dai religiosi cultori dell’ambiente (si trova in innumerevoli blog di varia ispirazione, che poi uno quando cita questa lettera non pensa mai a un fatto: magari è proprietario di una casa, insomma anche lui ha acquistato a suo tempo un pezzo di terra – dove una volta crescevano sotto il sole scintillante ortaggi e spezie varie – e ha edificato un bel condominio e ora, nella riserva, ben riparato dagli accidenti della natura si occupa della sacralità della terra. Sempre quella degli altri, si intende). Peccato che non abbia riscontri storici, probabilmente è un falso, di quelli ex post.

 

Ma Pierce è anche ricordato per un dialogo con un passante. Quest’ultimo si soffermò a guardare la Casa Bianca e disse: mi piacerebbe vedere questa bella casa. E Pierce: “ma mio buon signore, certo che potete entrare, questa non è casa mia, è la casa della gente”. Preferisco questa storia rispetto alla lettera stile new age del capo indiano. Anche perché ci introduce in un tema cogente e più pratico: democrazia o demagogia? – un tema che a ben vedere presenta inquietanti declinazioni new age.
La seconda (pedagogica) storiella è citata in una TED conference da Beth Noveck. Noveck è stata la responsabile di un ambizioso programma (fino alle sue dimissioni, nel 2011), l’Open Government Iniziative, ovvero come aprire i processi governativi a tutti i cittadini. “Quando sono arrivata alla Casa Bianca” – dice – “non c’era nulla di aperto. C’erano invece tende antiproiettili alle finestre. Non avevamo un blog. Sono arrivata per diventare capo di un Governo Aperto, prendere i valori e le pratiche della trasparenza e infonderle nei cittadini”. Noveck è un’entusiasta sostenitrice di reti di specialisti che guardano oltre le solite credenziali: “se voglio capire come far arrivare più in fretta i sussidi ai veterani, forse dovrei parlare con chi è in prima linea nelle organizzazioni che concedono questi sussidi”. E ancora: “consideriamo l’expertise qualcosa di sperimentale o di accademico? Ciò che si basa sui libri o sui contenuti? Colui che guida ogni giorno un tir o l’esperto di logistica del reparto informale? L’uno e l’altro, ovviamente. Oggi la tecnologia permette di trovare con la stessa facilità le persone di esperienza e quelle con i titoli giusti. Dunque, questo allarga lo spettro delle opinioni e delle idee e in più sfrutta l’entusiasmo di chi è del tutto autodidatta” (citato in David Weinberger, La stanza intelligente, la conoscenza come proprietà della rete, Codice Edizioni).

Siamo dunque, e felicemente, dalle parti di Pierce, questa casa è la tua casa – basta collaborare – o dalle parti di Woody Guthrie, questa terra è la mia terra – idem come sopra. Ma c’è un problema: del resto, c’è sempre un problema, è una condizione esistenziale. Beth Noveck, appena prese le redini del programma, come prima cosa, allestì un sito pubblico e chiese ai cittadini di intervenire: domande? Proposte? Passa il tempo e ci si rende conto, esaminando la nuvola dei tag che molte questioni (delle quali si chiedeva un dibattimento o chiarificazioni) riguardavano a) gli ufo b) birther, cioè quelli che credono che Obama non sia nato negli Stati Uniti e varie altre: complotti 11 settembre, area 51. Piccolo momento drammatico. Qui si parla di Governo aperto e arrivano domande sugli alieni? Che si fa? Si censurano simili questioni, sotto la voce: va bene la diversità di opinioni ma c’è un limite a tutto? Oppure si accolgono? Se si censurano che valore ha un sito aperto a tutti? Ma d’altra parte se vogliamo capire come fare arrivare i sussidi ai veterani, perché includere le voci di quelli che pensano che Obama sia un usurpatore?

Insomma, bel conflitto: se siamo tutti uguali e la pensiamo tutti allo stesso modo perché discutere? Ma se arrivano voci smisuratamente off topic perché includerle? Nel caso specifico Beth Noveck e il suo staff decisero di non cancellare niente, e furono anche fortunati perché i partecipanti ai vari siti, responsabilmente, riuscirono a tenere basso il rumore di fondo. La lezione da questa storia potrebbe essere questa. Il valore della democrazia è tanto più alto quanto più basso si conserva il rumore di fondo, e per rumore di fondo si intende tutto quello che sfugge a un rigoroso metodo di verifica e misurazione.
Che poi è facile a teorizzarsi. Ma poi in concreto che significa verifica e misurazione? La verifica e la misurazione prevedono l’uso di strumenti, questi devono essere condivisi e organicamente diffusi. Per di più, molti di questi strumenti non sono oggetti reali, metri, compassi e altro. No, purtroppo. Sarebbe bello e troppo facile. Per strumento si intende anche una particolare maniera di ragionare. La cosa si complica. Chi sei tu per dirmi che non ragiono bene? Allora, un’affermazione più netta ci porta a dire che ragionare è un’arte che esclude il più possibile le fallacie argomentative, a loro volta, causa del rumore di fondo. D’accordo è difficile, ma d’altra parte prima o poi, soprattutto in Italia bisognerà affrontare con pazienza la suddetta questione: come si formano le nostre opinioni? Riusciremo a lungo andare a far accettare, non dico a tutta la popolazione ma in una fetta rappresentativa, stimabile in un 35%, perlomeno degli strumenti condivisi? E abbassare così facendo il rumore di fondo?

Prendete un tipo medio come me. Che va bene fa lo scrittore, ma nell’Ottocento, allora sì che questa professione era autorevole: ora, per quando mi riguarda, i non addetti ai lavori, come i colleghi ministeriali, diciamo così, lettori deboli, mi cercano per scrivere qualche dedica in occasione di compleanni o pensionamenti, non certo per valutare la qualità della democrazia. Quindi. Un tipo medio come me, la domenica sera, vede le Iene. Per vari motivi. È un programma familiare, veloce, divertente, poi, in alcune occasioni mi fa sentire indiscutibilmente superiore ai poveri cristi (mezzi ladri, piccoli truffatori, maghi, rattusi in cerca di donne) mangiati dalle Iene. A ben vedere, un tipo medio come me, preso in alcuni momenti di relax e di spleen, non ha niente da dire. Non è nemmeno bello a vedersi, stravaccato sul divano, la domenica sera, a guardare, appunto, le Iene. Cioè, uno scrittore medio non pensa alla democrazia e alla valutazione, alle misurazioni e alle fallacie. Soprattutto di domenica sera, con la prospettiva del lunedì lavorativo.

Quindi se assisto ai servizi di Giulio Golia sul metodo Vannoni non è che ho, dal principio, le idee chiare. Anzi, sono del tutto dipendente dalla narrazione di Golia. Dipendente, cioè, disposto a fidarmi. Mettete che Golia parli di staminali e di un metodo che pare dia risultati soddisfacenti. Mettete che i vostri figli (nel mio caso Brando e Marianna) lascino le loro occupazioni (tipo Marianna lasci una chat con una sua amica brasiliana e Brando lasci Roma channel sul palmare) e si avvicinino al televisore. Mettete che il tipo medio (cioè io) si alzi dal divano perché colpito dalle bambine sofferenti e soprattutto perché la parola staminali gli evoca scenari promettenti (insomma, benché tipo medio, conosco anche io qualcosa su questo tipo di cellule), considerate il fatto che il professore Vannoni – come è presentato – sembra – con i suoi capelli lunghi – un simpatico e testardo visionario che naturalmente si batte contro la burocrazia che incombe minacciosa. Miscelate tutto questo e alla fine trovate il me “medio” non più stravaccato ma seduto sul divano, attento alla narrazione, convinto dal servizio, tanto è vero che quando i miei figli mi hanno chiesto: ma allora funziona? Io ho risposto: pare di sì. Le Iene vanno avanti e anche la mia vita. Golia integra e aggiorna i suoi servizi, io sono preso, come tutti, dagli accidenti quotidiani e quindi solo di tanto in tanto partecipo e svogliatamente al dibattito sul metodo Vannoni e voglio dire, le bambine di cui Golia parla mostrano palesi miglioramenti, pare che funzioni, le staminali del resto sono promettenti, scusate perché no? Perché non lasciare libero accesso alla sperimentazione? Nel dubbio, cosa ci costa?

Però poi accade che un giorno guardo Franco Antonello e suo figlio affetto da autismo alle Invasioni Barbariche (la loro storia è raccontata nel libro di Ervas, Se ti abbraccio non aver paura). Sul finale della commovente intervista Antonello si lascia andare a uno sfogo contro i vaccini (Antonello vorrebbe vederci più chiaro) e subito dopo tesse un elogio di Giulio Golia, dice: “un immenso Giulio Golia”, cioè, si riferisce alla suddetta inchiesta sul caso Vannoni. Vaccini responsabili dell’autismo e l’immenso Giulio Golia. È stato allora, solo allora, che ho avvertito una stonatura e ho sospettato, sul caso Vannoni, la presenza del rumore di fondo, quello che potrebbe offuscare il sano dibattito all’interno della casa. Perché solo allora? Conosco bene quello che si dice sui vaccini. I vaccini sarebbero un miscuglio di veleni e composti tossici. Secondo i complottisti vi si trova di tutto, dalla formaldeide all’alluminio, da un antigelo allo squalene e tutto in quantità enorme. E dovendo vaccinare i miei figli, diciamo così, all’epoca mi sono alzato dal divano domenicale e ho cercato strumenti condivisi attraverso i quali misurare la questione vaccini. E poi, per esempio, sulla formaldeide ero tranquillo (non è nemmeno contenuta in tutti i vaccini): è un conservante e nelle quantità abituali conosciute per le proprietà conservanti, non è pericolosa. Anzi si tratta di uno degli agenti più importanti del vaccino, essendo fondamentale nell’inattivazione dei virus o dei batteri. Senza formaldeide non si potrebbe riuscire ad ottenere un virus senza eliminarne i rischi di riattivazione. Dunque siccome reputo le teorie sui vaccini insensate e pericolose, fonte di danno sui bambini (perché chi non si vaccina rischia, purtroppo, e perché anche uno degli antivaccinisti come il pediatra Gordon Jay dovendo andare in Etiopia si è vaccinato contro l’epatite A, insomma nel suo caso ha misurato i benefici della vaccinazione contro i bassissimi rischi della stessa), insomma, nel caso specifico, ho intravisto una fallacia argomentativa e mi sono detto: le due cose, la pericolosità dei vaccini e l’immenso Giulio Golia non stanno insieme. Meglio alzarsi dal divano, per amore della democrazia e sprezzo della demagogia.

Naturalmente è stato una specie di shock. Dico, passare dalle argomentazioni di Giulio Golia a quelle più tecniche e scientifiche. Quante cose non sapevo e come è ricca di immaginazione la procedura scientifica. Per prima cosa ho appreso che Vannoni è un filosofo. Non un medico. Perché non c’avevo fatto caso? Per pigrizia e perché sono suscettibile alle suggestioni narrative, non solo come Antonio Pascale, ma in quanto comune rappresentante della specie dei sapiens. Il lato emotivo chiede costantemente la nostra attenzione, mentre quello analitico-valutativo latita. Accendere questa modalità di ragionamento è faticoso, non fosse altro per il glucosio richiesto. Il problema democrazia uguale demagogia esiste, solo che spesso, nei momenti di pessimismo e malinconia ci impigriamo, come la domenica sera, diventiamo apocalittici: così non si può andare avanti, la democrazia è corrotta perché corrotte sono le opinioni della massa (non le nostre, si capisce). Capita di scagliarsi contro la rete, per esempio, perché ospita un gran rumore di fondo che confonde e annienta il sistema analitico-valutativo, perché tutti in rete possono credersi dei brillanti Davide a caccia di orribili Giganti. Eppure sta di fatto che in rete, cercando informazioni sul caso Vannoni (i giornali non hanno fatto campagne accese, tranne alcuni servizi su Corriere della Sera Salute e Sole 24 ore) ho scoperto un sito. È inutile adesso riassumere il corpus di conoscenze che Salvo di Grazia, il medico titolare del blog, mette in campo. Molto meglio andare direttamente ai suoi dossier per farsi un’idea. Sono ben scritti, pacati nell’andamento, indagini serie e approfondite, numeri, comparazioni, statistiche, così che possiamo avere una visione di insieme e di scala. Solo un estratto:

Vannoni chiede di brevettare un metodo che otterrebbe neuroni da cellule staminali mesenchimali usando una soluzione di acido retinoico ed etanolo; Cho (uno studioso che ha brevettato in passato il metodo per differenziare le staminali mesenchimali) ottiene neuroni da cellule staminali mesenchimali usando una soluzione di acido retinoico. Sostanzialmente le due idee sono identiche ma Cho è arrivato molto prima.
Cosa emerge dalle domande di brevetto quindi?

È vero che leggendole si “scopre” il mistero della produzione di cellule staminali particolarmente efficaci? No, anzi, dal brevetto si capisce (e questo lo sottolineano anche i controllori del brevetto) che Vannoni prepara le cellule con un metodo ufficialmente già in uso (come egli stesso descrive nella domanda) solo che non rispetta nemmeno le caratteristiche dei metodi che cita. La sua descrizione della preparazione è talmente “ovvia” per l’ufficio brevetti che la domanda non è stata accettata, in parole povere: se la procedura ricalca altre già esistenti non vi è nessuna invenzione, se è “nuova” non è descritta in maniera esaustiva. Gli esperti americani, infatti, fanno notare a Vannoni che la procedura che egli descrive è del tutto insufficiente ed inattendibile e che una persona “con capacità ordinarie” (ordinary skills) non avrebbe compreso la procedura perché non descritta correttamente (è una delle caratteristiche che deve avere un brevetto)”.

“Ordinary skills”, presente, sono io. Vero, ho capacità ordinarie ma tanto basta per affrontare il problema brevetto. Vuol dire che ce la posso fare! Posso, con un po’ di ricerca e un leggero consumo di glucosio, affrontare il caso Vannoni e quelli simili. Posso, dunque, farmi aiutare nella lettura degli avvenimenti da una metodologia che restringe gli errori (grazie alla statistica, alle analisi, alle verifiche) e soprattutto mi costringe ad alzare le mie aspettative (oltre che dal divano domenicale) e le mie valutazioni.
“Ma mio buon signore, certo che potete entrare, questa non è casa mia, ma è la casa della gente”. Una bella dichiarazione. Certo non perfetta, visto che è facile entrare nella casa e colpire emotivamente i cittadini. Eppure, è chiaro che la formazione delle opinioni è di vitale importanza per la democrazia. È anche chiaro che nel caso suddetto, l’immenso Giulio Golia dispone di una portaerei e può attaccare ogni domenica sera, mentre il dott. Salvo di Grazia scrive un blog di nicchia, quindi se gli ordinary skills volessero affrontare la questione Vannoni dovrebbero prima difendersi dal fuoco di Giulio Golia e poi forse passare al blog di nicchia, quest’ultimo più propenso ad allenare il nostro lato analitico.

Come fare per alimentare le navi analitiche, pur piccole, contro le corazzate emotive? E visto che alcune procedure non sono difficili da affrontare, risultano alla portata di tutti, come spronare gli Ordinary skills a ragionare con meno fallacie? Si tratta di difendere i valori umani, in fondo. È il proposito di un Open Government, almeno nelle intenzioni di Beth Noveck. Expertise? Si, e dunque prendiamo quello che guida ogni giorno un tir e l’esperto di logistica del reparto informale. L’uno e l’altro. Basta rispettare la procedura e le regole argomentative, la regola è: non c’è creazione senza regole. Dunque, che almeno un terzo della popolazione tenga alta la metodologia, l’analisi e le valutazioni caso per caso, che leggano e diffondano blog come Medbunker, lo facciano contro di me (o per amore mio) o quella parte di me dormiente sul divano la domenica sera. Il problema non è più se puoi visitare la casa perché, certo, è casa tua, ma se puoi chiedere alla tua sensibilità ordinaria di elevarsi, dunque entrare nella casa con degli strumenti di misurazione condivisi: la terra è rotonda, la luce ha velocità finita, l’evoluzione darwiniana è un fatto accertato, è la dose che fa il veleno ecc.

In caso contrario? In caso contrario è chiaro che, riassumendo, io poteri alzarmi dal divano e dire di aver trovato una cura per qualche malattia inguaribile, di quelle che finora, nonostante gli sforzi, nessuno è mai riuscito ad affrontare. Mettiamo che dica in giro che la mia cura funzioni e mettiamo che a discapito di quanto invece affermi la società scientifica, con tutte le procedure e i protocolli validati, mettiamo, dunque, a discapito di quanto i blogger come Salvo di Grazia e altri tentano di dimostrare – carte alla mano, numeri e non aggettivi, statistiche e non singoli episodi -, provate a pensare che io alla fine trovi anche un Giulio Golia disposto a credermi e soprassedere a eventuali critiche tecniche o tenere in disparte elementi portanti, magari utili ad avallare una procedura scientifica, a favore di altri più emotivamente ricattatori, se io facessi tutto questo, potrei anche ottenere che il Parlamento intero voti il finanziamento di un decreto che accrediti su un Fondo la somma di 3 milioni di euro. Ecco, forse, con meno pigrizia potrei farlo anche io. Anzi, sospetto che in Italia non ci voglia poi molto, visto i precedenti. Allora diciamo la verità: in caso contrario, non so se conviene tenere ospite in quella bella casa, uno come me, seduto sul divano, pigro e poco inquieto.

Fonte: http://lavalledelsiele.com/2013/07/02/democrazia-staminali-e-divani/

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